«Spiace constatare che nonostante l’intenso lavoro svolto in questi giorni, a oltre quattro mesi dall’assegnazione dell’Expo a Milano, ci si trovi di fronte a un ennesimo rinvio, segno che ci sono ancora molte difficoltà che non sono state superate». Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano, non ci sta e non accetta di buon grado il fatto che il problema della governance dell’Expo non sia stato ancora risolto. Tutto perché, dice Penati, «il Governo si trova davanti ai no del Comune di Milano, la cui ostinazione sta bloccando la situazione facendo perdere a tutti del tempo prezioso».
C’è un po’ l’impressione che l’Expo si stia risolvendo in una semplice questione di potere, tra chi vuole deciderne il controllo.
Non è una questione di potere. Il problema è un altro: è che c’è stato un atteggiamento sbagliato da parte del Comune di Milano, che ha voluto presentare una proposta eccessivamente accentratrice, che ha incrinato il clima di accordo e di collaborazione tra istituzioni locali e nazionale. Quel clima cioè che è stato alla base della vittoria dell’Expo. Questa spinta accentratrice arrivava a proporre modelli di governance privi di riferimenti giuridici per poter stare in piedi.
Il problema è che l’Expo richiede una gestione autonoma a livello locale, ma al tempo stesso coinvolge direttamente il Governo centrale: come conciliare al meglio le due cose?
Bisogna partire dal fatto che il Governo ha assunto un impegno rilevante, oltre 1.400 milioni di euro. Questo stanziamento dovrà essere fatto in tempi celeri, tempestivamente, ma le procedure sono quelle stabilite dallo Stato. I finanziamenti passano attraverso il Cipe, e quindi non si può sostituire un organo che è garanzia dell’azione di Governo con un comitato costituito ad hoc. Certo bisogna chiedere che il Cipe funzioni celermente, e che non sia un collo di bottiglia. Ho poi apprezzato il fatto che il Governo abbia aperto anche alla partecipazione degli enti territoriali per tutte le questioni che riguardano l’Expo. Poi c’è la società di gestione, che deve essere una Spa, deve avere dei soci che la costituiscono, e un Cda. Credo di dire una cosa normale: non si può forzare il codice civile, facendo sì che il Cipem – organismo che non ha nessuna veste giuridica – diventi il socio unico della Società, la quale a sua volta ha un amministratore unico. Il che vuol dire che, siccome il Cipem è presieduto dal sindaco di Milano, l’assemblea dei soci è costituita solo dalla signora Moratti. Qui c’è l’eccesso di cui parlavo prima, e non c’era bisogno di aver fatto un master a Yale per capire che la cosa non poteva stare in piedi.
Non ha ancora parlato dell’altro attore di tutta questa vicenda, il presidente della Regione Lombardia.
Formigoni va apprezzato per il lavoro che ha fatto, specie negli ultimi giorni, in cui ha cercato di trovare una mediazione tra l’impostazione del governo e quella del Comune. Credo che sia stato un atteggiamento a cui va riconosciuto responsabilità istituzionale, mettendo anche da parte l’orgoglio personale. Si capiva che da parte del presidente della Regione c’erano forti dubbi sull’impianto presentato dalla Moratti, e anziché fermarsi alle critiche si è rimboccato le maniche e ha cercato di trovare una soluzione.
Uscendo un po’ dalle beghe di casa nostra, l’Expo ha un grande respiro internazionale: come gestire al meglio il rapporto con l’estero?
Qui c’è un aspetto importante che non va sottovalutato, vale a dire il tema scelto da Milano per l’Expo, che è quello della fame nel mondo e del rapporto tra Nord e Sud del pianeta. Noi l’abbiamo proposto anche come un’occasione per i Paesi in via di sviluppo di far sentire la propria voce su un tema fondamentale, come quello dell’alimentazione, la cui rilevanza è accresciuta dalle tensioni speculative sui prodotti agricoli, che pesano soprattutto proprio sui Paesi poveri. Questo è dunque un grande tema, fermo restando che nessuno si può illudere che sia l’Expo a dare soluzioni importanti, quando nemmeno il G8 ci riesce. Inoltre sarà l’occasione per Milano di avere un grande evento internazionale, utile a dare una spinta per quella crescita economica e sociale che Milano aspetta. E anche un’occasione per creare coesione sociale attorno ad un evento che deve diventare patrimonio di tutti. Invece in questi quattro mesi questo sentimento di orgoglio di Milano di essere tornata alla ribalta internazionale si è andato via via perdendo, perché anziché tenere una squadra vincente e incominciare a lavorare per coinvolgere i cittadini, ci si è divisi. E i cittadini hanno perso molto interesse. Sta passando l’idea che anziché essere un’opportunità per la città diventa una vetrina internazionale per qualcuno.
Il nodo infrastrutture è un elemento fondamentale per la preparazione dell’evento. L’Expo non riguarda solo Milano, ma tutta la zona geografica connessa con il capoluogo lombardo, che attende di avere collegamenti assai più efficienti di quelli attuali. Cosa aspettarsi da questo punti di vista?
Partiamo da un primo dato: se verrà confermato il numero di visitatori previsti per l’Expo, si parla di 30 milioni di persone in sei mesi. Dobbiamo quindi prevedere una media giornaliera doppia rispetto a quella della Fiera del mobile, durante la quale Milano è quasi bloccata. Il doppio, e per sei mesi. Senza ammodernamento infrastrutturale sarebbe un disastro. Se invece ci adeguiamo a questo flusso e riusciamo a reggere l’impatto, una volta concluso l’Expo ci sembra di essere in un paradiso terrestre: i milanesi, e coloro che gravitano attorno a Milano potranno veramente tirare un sospiro di sollievo. Il tema dunque non è solo Milano città è l’area metropolitana, e la Lombardia in generale, con un occhio particolare per i collegamenti con i corridoi internazionali.
C’è intanto il brutto esempio di Saragozza, che si sta rivelando un flop. Come evitare gli stessi errori?
Dopo aver visitato Saragozza sono tornato con una grande preoccupazione, perché mi sono domandato se io da Milano, da semplice cittadino, avrei mai preso l’aereo per andare lì. E mi sono dato risposta negativa, perché non ha nessuna attrattiva. L’Expo è una fiera, non è un campionato di calcio: ha bisogno di qualcosa di fortemente attrattivo, perché è una manifestazione che non è di per sé garanzia di buona riuscita. Bisogna pensare al “format”, e anche a una o due realizzazioni che siano attrattive, sul modello ad esempio dell’acquario di Genova. Deve esserci qualcosa che stupisce, e che non abbiamo già visto in tv.