Da alcuni anni a questa parte la scuola italiana si è dotata di molteplici strumenti che permettono di motivare e orientare gli studenti alla scelta del lavoro post diploma. Alcuni di queste modalità, come l’alternanza scuola – lavoro, sono inserite nella programmazione curricolare, mentre i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) costituiscono da 10 anni, essendo stati istituiti nel 2003, una vera risposta istituzionale all’annosa questione del nesso tra scuola e lavoro in Italia.
L’alternanza scuola – lavoro forma un interessante banco di prova che verifica l’attitudine dei docenti e degli istituti scolastici ad immedesimarsi con le domande che provengono dai giovani e dalle loro famiglie, fornendo risposte che sono all’altezza di queste aspettative. L’orientamento al lavoro, infatti, presuppone sempre un “lavoro” di formazione e aggiornamento che l’insegnante è chiamato a svolgere su di sé, ravvivando la propria inclinazione alla comunicazione di un rapporto positivo con il mondo circostante, attraverso ciò che insegna.
Riguardo al quadro complessivo del “sistema degli indirizzi professionali” in Italia, occorre accennare alla separazione (nei fatti) della Istruzione professionale quinquennale, seppure distinta in un primo biennio di base e successivo triennio di indirizzo, dalla Istruzione e Formazione Professionale, esistente dal 2003, frutto di un innesto non sempre riuscito della Formazione sulla Istruzione. I percorsi regionali di Istruzione e Formazione Professionale, triennali e quadriennali sono finalizzati al rilascio:
A) di un attestato di qualifica corrispondente al terzo livello della Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 che costituisce il Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente;
B) di un diploma professionale corrispondente al quarto livello del Quadro europeo.
Tali titoli risultano spendibili su tutto il territorio nazionale, in quanto riferiti a standard comuni concordati tra le Regioni, e tra queste e lo Stato. Il riferimento ai livelli europei rende tali titoli spendibili anche in ambito comunitario.
Per i docenti e i dirigenti non è stato sicuramente facile barcamenarsi all’interno della Istruzione Professionale di Stato quinquennale, che tra l’altro ha potuto anche avviare, negli istituti resisi disponibili, i percorsi di IeFP in regime sussidiario per gli anni formativi 2012/2013, 2013/2014 e 2014/2015.
A evidenziare e sostenere l’importanza di una lettura attenta della realtà, sono state approvate nel 2010 le “Linee Guida” per la realizzazione dei raccordi tra i percorsi quinquennali degli IP e i percorsi di IeFP. In esse si afferma che compete ai consigli di classe l’organizzazione dei curricoli, e dunque la personalizzazione dei percorsi, relativamente sia all’offerta sussidiaria integrativa che gli Istituti Professionali possono erogare nei confronti di quegli studenti che desiderino acquisire dopo il terzo anno il diploma di Istruzione professionale, sia all’offerta sussidiaria complementare per quegli studenti che intendano conseguire i titoli di Qualifica e Diploma Professionale presso gli Istituti Professionali.
I nodi non sono del tutto risolti, come si può immaginare, anche ad altri livelli, come quello della certificazione delle qualifiche di chi esce dai percorsi, sia statali che regionali, che dovrebbero corrispondere (ma non sempre è così) a competenze utili alla vita ed allo sbocco professionale.
In conclusione, la creazione nel nostro Paese di due grandi segmenti o “sistemi” della scuola secondaria di II grado: il primo, di competenza statale, comprendente i Licei, gli Istituti Tecnici e gli Istituti Professionali; il secondo, di competenza regionale, comprendente i percorsi di IeFP, è un processo avviato ma ancora da monitorare e perfezionare anche, e soprattutto, sul versante dell’orientamento dopo la terza media.
E nella scuola superiore, una volta che l’alunno vi abbia fatto ingresso, non è meno importante affrontare il tema dell’orientamento post diploma o del riorientamento ad un corso di studi più adeguato alle attitudini della persona, onde evitare dispersione e abbandono.
Giova ricordare, a questo proposito, che la metodologia dell’alternanza rappresenta una possibilità, per le scuole, di definire la loro identità in rapporto al territorio, come risulta dal “Rapporto di monitoraggio 2012 – Alternanza scuola lavoro: lo stato dell’arte”, curato dall’Indire.
Di che cosa si tratta esattamente? Forse di una didattica alternativa a quella che impegna il docente di scuola superiore in un rapporto stringente con la classe, dove egli è chiamato a promuovere la libertà degli alunni anzitutto con le armi della propria umanità? Niente di tutto questo, poiché l’alternanza nasce come spazio in cui soggetti diversi (la scuola, gli alunni, le famiglie, l’impresa) possano integrarsi a vicenda nella soluzione dei problemi, sviluppando la capacità di orientare gli alunni nelle problematiche del lavoro.
Alcuni dati che si possono desumere dal “Rapporto”: dal 2006 l’alternanza scuola lavoro è, di fatto, una metodologia ampiamente diffusa, sia negli istituti tecnici, sia negli istituti professionali che nei licei; per l’annualità 2011/12 il 44,2% del totale degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado presenti sul territorio nazionale (2.365 su 5.351), sono stati impegnati nella realizzazione di percorsi di alternanza. L’alternanza impegna fortemente i docenti che vi si dedicano: sia coloro che svolgono attività didattica in aula per l’alternanza scuola lavoro; sia i docenti interni incaricati del rapporto con le strutture ospitanti.
La metodologia dell’alternanza non è asettica e neutra; essa presuppone la presenza di docenti che dialogano con la classe, ne percepiscono le potenzialità progettuali, ne valutano in forma narrativa i risultati del rapporto in chiave didattica con il lavoro.
È dimostrato che i docenti che hanno seguito lo studente durante il percorso di alternanza sono propensi a segnalarne la disponibilità lavorativa all’azienda, avendone sperimentato le competenze, magari insospettate, proprio durante questa particolare esperienza formativa.
Abbiamo ancora una volta, in questo senso, la dimostrazione di quanto valgano la soggettività del docente e il suo lavoro, se inseriti “nel” e rapportati “al” contesto nel quale si esercitano e nel quale possono esprimersi nella pienezza della consapevolezza e della capacità creativa.