Oggi sono in molti che utilizzano il termine organismi geneticamente modificati, piuttosto che biotecnologie, ma probabilmente pochi ne conoscono realmente il loro significato, cioè cosa vuol dire applicare l’uso delle moderne tecnologie per produrre piante coltivate, oppure farmaci.
Purtroppo il rischio di fraintendimenti in questo campo della scienza, anche grossi, esistono eccome! Lo rivela l’interessante, nonché prezioso, saggio che Dario Bressanini e Beatrice Mautino hanno scritto e che porta il provocatorio titolo Contro Natura.
Il primo autore è docente universitario e divulgatore scientifico che collabora con la rivista Le Scienze; mentre la seconda autrice di questo volume, è biotecnologa e giornalista, e ha pubblicato diversi testi che spiegano il ruolo delle biotecnologie nell’attualità scientifica.
Scorrendo i diversi capitoli riusciamo – personalmente con grande piacere – a capire come tutto il sistema che nasce dalle tecnologie genetiche e che porta alla coltivazione di piante modificate geneticamente come grano, cotone, soia, mais, colza e altre, consente di ottenere vantaggi non indifferenti quali, per fare un esempio, la tolleranza agli erbicidi, oppure la resistenza agli insetti patogeni delle piante stesse. In questo caso si tratta di due caratteri agronomici in cui il beneficio va a chi coltiva, perché il controllo dello sviluppo delle piante coltivate è importantissimo per incrementare la resa agronomica.
Del resto, da quando l’uomo ha sviluppato le prime forme di agricoltura, sappiamo che la domesticazione di piante e animali, cioè la selezione degli stessi organismi nelle varianti favorevoli, è avvenuta in un arco di tempo tra dodicimila e ottomila anni fa in diverse parti del globo, oggi chiamati centri di domesticazione.
Nella cosiddetta mezzaluna fertile, cioè tra i fiumi Tigri ed Eufrate, a est della Turchia e a nord della Palestina e successivamente in altre parti della Terra come il sud America, l’America centrale, la Cina, l’Africa, le popolazioni umane hanno utilizzato il frumento, l’orzo e alcune leguminose trovando il set di piante ideali, spesso un cereale e una leguminosa, che sono state coltivate e, nel tempo, modificate per essere più favorevoli all’alimentazione umana.
Lo sviluppo dell’agricoltura ha portato, come conseguenza, un maggiore sforzo per ottenere alimenti. Questo va detto perché le cosiddette mutazioni genetiche spontanee e favorevoli – è doveroso riconoscerlo – restano comunque un evento raro.
Partendo da queste conoscenze i nostri due autori prendono in considerazione diverse piante utilizzate attualmente nell’alimentazione cercando di elencare e trattare come e con quale frequenza si sviluppa spontaneamente un determinato carattere favorevole, oppure come una modificazione genetica favorevole può essere indotta dall’uomo con le moderne biotecnologie.
Per esempio il carattere di nanismo dei frumenti si osserva statisticamente su una pianta ogni diecimila e, sempre cercando di rimanere concisi, è utile sapere che un gene mutato può indurre una variazione nel fenotipo, cioè nell’aspetto della pianta, ma – frequentemente – è necessario il cambiamento di molti più geni.
Certi caratteri come la dispersione del seme sono determinate da un singolo gene e per questo motivo i genetisti cercano di capire se quel gene è presente in omozigosi in doppia coppia per capire se il cambiamento sarà osservabile nel fenotipo. Se invece è presente un’eterozigosi è possibile che il carattere sia meno evidente o presente solo in certe particolari condizioni.
In altri casi, come per esempio nell’altezza della pianta, si tratta di prendere in considerazione tutti quei geni che collaborano ciascuno secondo le sue varianti. Questo perché ognuno di questi geni specifici può essere in omozigosi o in eterozigosi.
Questo spiega per quale motivo l’uomo sia riuscito a capire solo dopo un lunghissimo tempo perché piante e animali presentavano questi fenomeni che oggi – con le conoscenze della genetica – riusciamo a spiegare molto meglio.
A questo proposito mi piace ricordare quello che è stato un caposaldo nella conquista agronomica: ottenere semi che restano sulla spiga e non vengono dispersi. Prendiamo in considerazione una mutazione spontanea vantaggiosa per l’uomo come la spiga dura e non fragile. Normalmente un evento del genere viene spazzato via in natura in quanto una pianta che non disperde i semi, non sopravvive.
Quindi l’evento spontaneo c’è, ma a quel punto interviene l’uomo che può capire l’importanza di quell’evento per la coltivazione e raccolta dei semi dalla pianta. È sempre chi coltiva che osserva l’evento che si verifica e intuisce che è un carattere vantaggioso e pertanto deve essere mantenuto e diffuso alla prossima semina. Si tratta di mettere in campo una progettualità per aumentare la produzione: una selezione sulla base del carattere della pianta.
Oggi, però, la modificazione delle piante avviene soprattutto attraverso l’ingegneria genetica e l’uso di questa tecnologia divide l’opinione pubblica diversamente da quanto accade per altre attività a carattere scientifico come, per esempio, la produzione di farmaci.
Come fanno i nostri autori così dovremmo chiederci anche noi perché, quasi sempre, assumiamo farmaci senza conoscere come vengono prodotti e testati. Possiamo immaginare quanto la tecnologia utilizzata sia pervasiva per molte applicazioni, ma l’obiezione viene rivolta solo a un processo, cioè a quello alimentare.
Nell’interpretazione di chi si oppone all’ingegneria genetica per l’alimentazione, si propaganda paura, spesso immotivata, ben sapendo che far ritrovare la fiducia del consumatore è un progetto lento e difficile. La storia dell’agricoltura è ricca di contraddizioni e sono esistiti fenomeni analoghi anche in altri tempi, ma il fatto che al giorno d’oggi la propaganda contro le biotecnologie nella pratica alimentare sia così veemente fa pensare che non dipende da motivi culturali, bensì sia legata a interessi non necessariamente economici.
Per questo apprezziamo ciò che scrivono Bressanini e Mautino nelle conclusioni del loro lavoro rivolgendosi ai «consumatori di alimenti biologici» che pensano, erroneamente, che questo tipo di produzione possa dare vantaggi alla salute e al benessere personale.
In realtà «non esiste prova scientifica convincente che questo sia vero, ma il marketing ha imparato la lezione: sono tutti ambientalisti con il portafoglio degli altri, e il cibo bio negli ultimi anni ha aumentato la propria popolarità proprio tra quelle persone, che, da un lato, temono le coltivazioni convenzionali, per l’uso di agrofarmaci, e dall’altro vedono nel biologico non un modo per, eventualmente, avere un impatto minore sull’ambiente, ma per avere in tavola un alimento più sano e nutriente».
In ultima analisi possiamo dire che se alle origini della Storia la scoperta dell’agricoltura ha cambiato le condizioni del genere umano in maniera determinante, oggi, nonostante il progresso tecnologico e scientifico in campo agrario, ancora un settimo della popolazione mondiale, cioè oltre un miliardo di persone è in condizione di denutrizione. La strategia OGM potrebbe essere efficace e molti dei popoli che soffrono la fame potrebbero essere nutriti, ma, purtroppo, il pregiudizio e le questioni etico politiche sugli stessi OGM ne rallentano la coltivazione.
È necessaria una profonda campagna di sensibilizzazione al problema, anzi, al pericolo più reale e imminente di quanto ci possiamo immaginare.
Dario Bressanini, Beatrice Mautino
Contro Natura.
Dagli OGM al “bio”, falsi allarmi e verità nascoste del cibo che portiamo in tavola
Rizzoli – Milano 2015
Pagine 303 – Euro 17,50
Recensione di Gianluca Visconti
(Docente di Scienze presso il Liceo Scientifico FAES – Argonne, Milano)
© Pubblicato sul n° 62 di Emmeciquadro