Lo ammetto: è un boccone amaro da mandar giù. Che tra tutti gli atei di buona volontà, saldamente arroccati nelle proprie convinzioni e orgogliosamente anticlericali, il Papa abbia scelto come interlocutore quello dall’ego più espanso, Sua Soavità Eugenio Scalfari, vale a dire intelligenza e vanità direttamente proporzionali messe a servizio della causa dell’uomo misura assoluta delle cose, fa un po’ specie. Come ha giustamente commentato Massimo Introvigne, osservatore e studioso di fenomeni religiosi, Francesco, rispondendo alle domande poste dalle colonne di Repubblica dal suo fondatore su fede e dintorni, ha compiuto “un gesto di frontiera e oggettivamente rischioso”. Un azzardo. Di quelli che in genere impegnano i folli di Dio. E che a volte finiscono con un Miracolo.
In attesa che ciò avvenga, vale a dire che il grande vecchio del laicismo italiano, sempre troppo arrogante e forse anche un pelino rabbioso, si convinca delle ragioni bergogliane e si disponga a chiedere con umiltà il dono del credere in qualcosa o meglio in Qualcuno che non sia lui stesso, provo a riflettere sulla dinamica di quanto è avvenuto, cercando di abbassare ai minimi il livello di acidità. Immediatamente mi è venuto alla mente il confronto tra Ratzinger e Habermas nella Monaco del 2004, quando il massimo teologo cattolico e il filosofo tedesco dialogarono sulla dimensione etico-civile della tradizione cristiana occidentale, finendo per affrontare il grande nodo del rapporto tra fede e ragione. Ratzinger era ancora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sarebbe diventato pontefice solo un anno più tardi, Habermas frequentava più le aule accademiche che i salotti culturali. Bisogna aggiungere che il dibattito era decisamente elitario e finì sulle pagine di giornale per dovere di cronaca, rimanendo confinato ad un ambito ristretto di intellettuali, senza conquistare titoli in prima pagina, come è accaduto ieri sul quotidiano romano. (A proposito in rete dilagava l’ironia su questo inedito cambiamento di prospettiva). Ma fatte le debite distinzioni, le analogie rimangono. E se la continuità riscontrabile tra Benedetto e Francesco non appartiene al duo Habermas-Scalfari (non ce ne vorrà il sommo Eugenio, ma l’altro ha una serie di pubblicazioni che anche solo per quantità sono ineguagliabili), essenzializzando si deve registrare, comunque, un botta e risposta su temi tosti. Talmente tosti che non entro nel merito.
Rimane il fatto che uno, si chiami anche Eugenio Scalfari, scrive e domanda, e il pontefice risponde. Quello che mi preme notare è che il Francesco che invia la lettera a Scalfari, è lo stesso che telefona alla mamma che ha perso il figlio, alla donna stuprata, allo studente di ingegneria, al prete di periferia. Insomma un Pastore attento al suo gregge, in grado di ascoltarlo e di guidarlo. E se persino Scalfari si è definito “pecorella smarrita” nell’editoriale con cui ieri accompagnava la risposta “scandalosamente affascinante” del Papa, è evidente che ci troviamo di fronte ad un fenomeno nuovo nella sua “pubblicità”. Bergoglio vuole una chiesa più che mai “inclusiva”. Una Chiesa, come ha ricordato ieri durante l’udienza generale in piazza San Pietro, capace di uscire, di muoversi, di “rischiare” per portare Cristo a tutti. Una chiesa madre. In cui un bambino battezzato da due ore ha lo stesso valore di un Vescovo o un cardinale, e paradossalmente la stessa responsabilità nell’annunciare la Speranza del Vangelo.
Ieri ha persino alzato la voce nell’affermare che “tutti siamo Chiesa e tutti siamo uguali agli occhi di Dio”. E non solo. Ha aggiunto che il cristiano non è un isola, né viene definito in laboratorio, ma è un uomo che accetta un dono dato dal Signore nella Chiesa e attraverso la Chiesa. Per questo non ci possono essere barriere, né prudenze o gerarchie. L’annuncio vale sempre, anche quando finisce sulle colonne del quotidiano storicamente più astioso nel raccontare la vita ecclesiale. Abbiamo detto una mossa azzardata, tutta di Francesco. Di chi sarà l’ultima parola lo sappiamo già (la minaccia era contenuta nella postilla con cui il canuto direttore-fondatore annunciava “alcune riflessioni per approfondire i temi e portare avanti un dialogo prezioso”). Ma potrebbe anche riservare qualche sorpresa. Bergoglio ha abbastanza fede e fegato per crederci.