Il metodo clinico si fonda sulla prossimità tra due persone, il medico ed il paziente, perché le informazioni che li riguardano si rendano evidenti e possano essere rilevate. La clinica è stata la via dello svolgersi della medicina perché è sempre stato necessario disporsi presso, vicino al soggetto che si voleva sottoporre a procedure mediche. La disposizione fondamentale dello stare accanto permette di impiegare con il migliore risultato tutti gli strumenti della percezione. Il medico può guardare, ascoltare, toccare, discriminare l’odore. Può instaurare un dialogo, può indurre gesti e posture corporee in modo di provocare reazioni. E con ciò introdurre cambiamenti nel corso dei quali divengono possibili altre percezioni che possono aggiungersi alle precedenti e suggerire confronti. La presenza vicina registra progressivamente gli elementi dell’ambiente e coinvolge i fattori delle abitudini e delle relazioni. Con la clinica si stabilisce un rapporto interpersonale che man mano che si prolunga trova nuovi motivi e tende a divenire più articolato e ricco di contenuti.
Si realizza così una conoscenza attraverso segni che conduce alla identificazione delle caratteristiche del soggetto e alla sorpresa del suo comportamento.
La decisione clinica di mettersi accanto, di trattare come prossimo a sé l’essere umano che si vuol medicare, rende inevitabile che si proponga il grande presupposto della conoscenza che risiede nella libertà di chi la ricerca. Chi si pone presso un soggetto per conoscerlo, chi usa la clinica deve aver risolto la questione della sua libertà con la quale si appresta ad interpretare i segni che potrà rilevare. Si dispone ad essere aperto a tutta la profondità che i segnali potranno proporre o si impone un limite, una sua misura oltre la quale le informazioni non saranno accettate? La libertà del medico decide quale conoscenza si potrà raggiungere.
Negli anni più recenti in un certo modo le parti si sono invertite. I pazienti si sono portati presso i medici, nei luoghi dove i sanitari sono più a loro agio per ottenere informazioni. Questa nuova circostanza di prossimità ha spinto nel tempo, ed in misura molto accentuata negli ultimi anni, il medico a munirsi di numerosi strumenti che hanno straordinariamente accresciuto la capacità di registrare i segni che riguardano i pazienti. L’imponenza delle macchine capaci di amplificare i segni che provengono dal paziente ha catturato l’intera attenzione dei sanitari.
Le segnalazioni, di grande numero e con grande potere di essere percepite, sono divenute sempre più interessanti come espressione di una tecnica di indicare, di indirizzare.
Questa nuova possibilità di produrre informazioni ha sempre di più suggerito che non era così necessario mettere alla prova la libertà di interpretare i segni. I segnali hanno in sé una chiara evidenza perché sono l’esito di una procedura avanzata ed appropriata.
Il segno esaurisce in sé il suo valore e non necessita di essere interpretato per trovare il suo significato, il segnale non indica altro che la sua intensità ed il suo modo di prodursi. La ragione clinica è divenuta ragione tecnologica. Il rapporto interpersonale per lo più non avviene, anche perché in fondo non é ritenuto necessario, ed il tempo è segnato prevalentemente da un susseguirsi di consumi di tempo macchina.
Con questo avvenimento sono correlati alcuni cambiamenti. Da una parte il ridursi dell’interesse a indagare le abitudini, l’ambiente di vita e le relazioni dei pazienti. Dall’altra la progressiva riduzione di medici clinici a favore di medici dei servizi esperti nella manipolazione delle tecnologie sanitarie.
Ma l’incapacità a stabilire relazioni, il non riuscire a trovare un fondamento comune finisce per rendere altamente improduttiva la maggiore parte delle informazioni che pur si sono rilevate. Alla fine i segni non sanno indicare una direzione affidabile, i segni non segnalano nulla.
Questo disagio che si prospetta nel fare medico ha conseguenze sulla organizzazione e sul suo costo. Si incomincia a pensare che la tecnologia, anche più elevata, debba essere re-indirizzata ad una prossimità, insomma che proprio la tecno-scienza più avanzata abbia bisogno di un suo metodo clinico. L’insieme delle evidenze rese percepibili dalle macchine più straordinarie, la ragione tecnologica, per aprirsi all’umano ha bisogno di essere aperta a tutti i fattori che lo compongono, di una ragione più ampia. Ma questo re-indirizzo, questa apertura di orizzonte si poggia tutta sulla capacità di impegnare la libertà, ha una urgente necessità di una educazione alla libertà che precede l’analisi dei segni.
Il rischio della interpretazione oltre una misura pre-concetta sembra prospettarsi come una sfida all’esercizio di buona medicina.
Per dare un proprio contributo a questo percorso che attende i giovani professionisti la facoltà di Medicina e Chirurgia della Università degli studi di Milano, in collaborazione con la Fondazione Maddalena Grassi, ha aperto in questi giorni le iscrizioni al Master di I livello “Assistenza medico sanitaria al domicilio. nella comunità e sul territorio” . Il Corso addestra i laureati delle discipline mediche e sanitarie ad esercitare la clinica là dove la malattia e la disabilità si manifestano prevalentemente e dove é più richiesta la libertà dei professionisti nell’uso dei grandi strumenti della più avanzata assistenza.
Il 10 marzo 2012 nell’ambito dei Corsi di Educazione Continua in Medicina l’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri della provincia di Milano propone il dibattito “Attualità del metodo clinico in Medicina e Chirurgia” per esplorare, con l’aiuto di noti maestri della professione, quale sia lo spazio che oggi trova concretamente lo svolgersi del metodo clinico nelle maggiori strutture di cura e assistenza ai malati.
Il metodo clinico, ovvero il rischio della libertà nella interpretazione dei segni, del come impararlo ed esercitarlo si presenta come il futuro della medicina che ci riguarda.