Venerdì scorso il cambio dell’euro verso il dollaro è sceso di un po’ (-1,5% circa). Sta iniziando il da troppo tempo atteso riallineamento dei valori di cambio tra le due monete in base al potere d’acquisto (1,17 dollari per un euro mentre ora è verso l’1,40), facendo finire un periodo di euro sopravvalutato che è concausa dello “shock deflazionistico” che sta bloccando la ripresa nell’Eurozona, con impatto devastante sull’economia italiana?
Da mesi Draghi fa capire che vorrebbe un euro più basso perché il suo cambio troppo alto ha ridotto l’inflazione importata, portando quella generale sotto l’1% mentre l’obiettivo di inflazione “sana” è al 2% annuo. Giovedì scorso ha annunciato che a giugno la Bce farà interventi di reflazione senza specificare quali. Il cambio dell’euro è sceso, ma non tanto. Ciò significa che il mercato non è convinto che la Bce farà azioni così massive da abbassare significativamente l’euro.
È evidente, infatti, che la direzione della Bce è divisa tra chi vuole una svalutazione massiva (Francia ed euromeridionali) e chi, invece, pensa che la bassa inflazione sia un fatto positivo (Germania ed euronordici). Inoltre, l’annuncio dell’intervento a giugno mentre doveva essere fatto un anno fa, come marcato polemicamente dal Fmi, dimostra che la Bce prende le sue decisioni non in base a criteri tecnici, ma politici.
Infatti, il rinvio a giugno appare motivato solo dal requisito di non irritare l’elettorato tedesco, ostile a minimi incrementi di inflazione, in vista delle elezioni europee del 25 maggio. In sintesi, il mercato non crede che l’euro andrà giù di tanto. Questo è un problema per l’Italia in quanto l’euro troppo alto: (a) penalizza le esportazioni in misura maggiore del vantaggio di ridurre i costi delle materie prime importate; (b) disincentiva i flussi turistici dalle aree non-euro; (c) soprattutto, alimenta attese di bassa inflazione prolungata – qui il maggiore impatto – che rinviano le decisioni di acquisto nel mercato interno rendendo lenta la ripresa, in particolare nel cruciale settore immobiliare; (d) l’inflazione troppo bassa, poi, rende più “pesante” il debito pubblico; (e) nonché pone problemi di redditività alle banche che poi vengono trasferiti all’economia via restrizione del credito.
Tali problemi andrebbero risolti svalutando l’euro di brutto o cominciando da questa mossa per reflazionare oppure farne altre che poi comportino l’abbassamento del cambio. Sul piano tecnico la Bce sarebbe costretta a fare tali azioni. Su quello (geo)politico l’esito è incerto. Per questo è inevitabile invocare che la Bce ritrovi la sua indipendenza dai governi.