Ci sono alcuni passaggi chiave di questo saggio che, oltre ad essere temi centrali nel dibattito culturale contemporaneo, toccano direttamente punti acuti e questioni decisive anche dell’esperienza scolastica attuale.
A partire dalla frammentazione, che è una nota dominante della situazione odierna, visibile sia a livello dei centri di produzione e trasmissione del sapere, come le università, sia più in generale nella mentalità diffusa e negli strumenti della comunicazione che oggi raggiungono tutti capillarmente. Una frammentazione che non è frutto solo della estrema specializzazione delle discipline ma pesca più in profondità, nel tormentato itinerario culturale del Novecento che ha visto, tra l’altro, quello che l’autrice indica come il «crollo della concezione classica della scienza».
L’esigenza del suo superamento e l’apertura al dialogo tra i diversi saperi era già emersa nel dibattito culturale del secolo scorso e non è da attribuirsi tanto alle cadute e alla debolezza della scienza quanto piuttosto alla riscoperta delle aperture antropologiche e metafisiche che la stessa crisi ha fatto intravvedere.
Un altro punto cruciale riguarda il realismo critico, ben lontano da quello ingenuo tacitamente assunto da molti scienziati e cosciente dei nodi problematici interni ed esterni incontrati dalle scienze contemporanee. Un realismo che consente agli scienziati di rifuggire dalla tentazione dello scetticismo e del nichilismo per riaffermare la realtà come una e unica, ricostruendo una trama unitaria alla quale applicare le inesauribili capacità conoscitive umane e rielaborando in forme nuove, ove necessario, tradizionali categorie come forma, finalità, causalità, analogia, sistema.
Terzo punto è proprio quello dell’unità del sapere che, se da un lato affiora come esigenza in reazione alla dispersione sopra ricordata, dall’altro è un esito al quale le scienze moderne tendono quasi spontaneamente. C’è un movimento delle scienze che sta facendo emergere la natura complessa e interconnessa della realtà e porta facilmente a momenti di convergenza tra discipline, all’affermarsi di paradigmi trasversali e allo strutturarsi di forme di collaborazione e dialogo interdisciplinare.
L’unità del sapere peraltro «è un progetto da perseguire» e non è certo da intendersi come una pura e semplice sommatoria di conoscenze; è piuttosto – scrive l’autrice mutuando il concetto dal teologo Giuseppe Tanzella-Nitti – «un habitus […] che è proprio della formazione di un uomo colto, preoccupato non tanto di accrescere in modo estensivo le proprie conoscenze, quanto di comprenderne in modo intensivo il valore per la propria umanità».
Sono tre tematiche che l’autrice di questo intelligente e prezioso studio rintraccia nei filosofi indicati nel titolo, accomunati da una prospettiva culturale di fondo e interessanti anche per la loro formazione e attività di ricerca che ha visto abbinati agli studi filosofici altri di tipo strettamente scientifico.
Di Jacques Maritain (1882-1973). restano un punto di riferimento fondamentale gli studi sulla filosofia della natura, basati sulla distinzione dei «tre gradi del sapere» (fisico, matematico, metafisico) e sulla complementarietà tra analisi empirica e ontologica.
È compatibile con questa impostazione l’approccio di Michael Polanyi (1891-1976), chimico ed epistemologo, per il quale la conoscenza scientifica non può che essere «personale», cioè coinvolgere tutta la persona che è implicata sia nelle continue scelte richieste dall’attività di ricerca sia nella più o meno esplicita urgenza di conferire un senso alle varie ipotesi e scoperte e alla ricerca in sé .
Il belga Jean Ladrière (1921-2007), più vicino ai nostri tempi, è più sensibile agli impatti delle scienze sulla cultura e sulla società e affronta le stesse problematiche degli altri due non tanto in senso strettamente speculativo quanto sul versante dell’attività umana di trasformazione del mondo e della sfida che essa pone alle culture.
Una sfida resa oggi ancor più provocatoria dagli sviluppi della tecnoscienza di fronte alla quale la riflessione di Ladrière mostra tutta la sua carica innovativa. La sua strada verso l’unità del sapere si allontana da quella classica per approdare a una visione «dinamica e policentrica», dove «non vi è più un centro unico a partire dal quale tutto si integra, ma ve ne sono molteplici che, tra l’altro, hanno gradi diversi di capacità organizzativa e di sviluppo».
L’unità del sapere in definitiva non dipende né dalla qualità né dal tipo di conoscenze che si posseggono ma – e dovrebbero averlo ben chiaro soprattutto gli insegnanti – «dal modo e dalla prospettiva, esistenziale o meno, in cui le poniamo in relazione con le ragioni del nostro vivere; in questo contesto il suo valore e la sua importanza assumono un peso molto maggiore».
Valeria Ascheri
Interdisciplinarità e unità del sapere. Maritain, Polanyi, Ladrière
IF Press – Roma 2014
Pagine 303 – Euro 25,00
Recensione di Mario Gargantini
(Direttore della rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 62 di Emmeciquadro