«Si tratta di un fenomeno che non deve essere né sottovalutato dal punto di vista istituzionale, né ridotto ad una mera questione amministrativa. I cittadini, noi tutti, avvertiamo il Comune come l’autorità più vicina. Dunque, le decisioni assunte dal Comune, al di là del campo più o meno ristretto cui si applicano, possono assumere il carattere di politiche pubbliche di più ampio respiro. Anzi, soprattutto se si tratta di provvedimenti assunti da Comuni di grande rilievo nazionale, essi possono assumere il ruolo di “apripista” verso obiettivi non ancora accettati dai livelli centrali di governo della collettività». Insieme a Giulio Salerno, docente di Diritto pubblico all’Università di Macerata, commentiamo l’annuncio della volontà di depositare in Consiglio comunale la delibera preparata dal gruppo del Pd sul registro delle unioni civili. In pratica tutto partirà dall’Anagrafe e dalla volontà di essere riconosciuti. A fidanzati non sposati, coppie omosessuali, anziani che per motivi economici o di amicizia vivono insieme, l’Anagrafe potrà rilasciare un attestato di «famiglia anagrafica basata su vincolo affettivo inteso come reciproca assistenza morale e materiale».
Professore, ci parlava del ruolo del Comune
Non va trascurato il fatto che il nostro assetto istituzionale, seppure in modo piuttosto disordinato, si è avviato verso un accentuato decentramento delle funzioni pubbliche. Anzi, una delle caratteristiche che si è venuta affermando nel nostro sistema, è proprio la sovrapposizione – se non addirittura la confusione – delle competenze tra i diversi livelli di governo. E tutto ciò, come è noto, è stato accompagnato dalla soppressione dell’interesse nazionale, locuzione che la riforma del 2001 ha tolto dal testo costituzionale. E in pari tempo sono stati eliminati i controlli preventivi di legittimità anche nei confronti degli atti degli enti locali. Questi ultimi, insomma, si sentono ormai legittimati ad agire in qualunque settore di intervento pubblico, come se fossero “piccoli Stati indipendenti”.
Cosa però non prevista dalla Costituzione…
La Costituzione afferma con chiarezza che soltanto lo Stato può disciplinare l’ordinamento civile, e dunque solo lo Stato può dettare norme in materia di rapporti civili e di famiglia. In questo ambito i Comuni non possono intervenire, neppure in nome e sulla base del principio di sussidiarietà. E’ evidente, allora, che un provvedimento che, anche indirettamente, violasse tale competenza statuale, sarebbe illegittimo proprio perché contrario alla Costituzione.
In che modo la questione del registro delle unioni di fatto, con tutte le sfaccettatureche ne conseguono, va a incontrarsi o scontrarsi con il concetto di famiglia espresso dalla Costituzione?
E’ proprio nel contesto istituzionale cui sopra si è fatto cenno, che va collocata l’iniziativa di promuovere un nuovo assetto delle politiche sociali del Comune anche a partire dall’istituzione di un registro delle unioni di fatto. Si tratta di una scelta politica che potrebbe avere conseguenze sugli stili di vita e sui comportamenti individuali e collettivi. A tal proposito, non sembra corretta l’impostazione che – almeno da quanto risulta da alcune notizie di stampa – sarebbe a fondamento dell’iniziativa.
In che senso?
E’ evidente che non si tratta di una mera iniziativa volta a ridurre o contrastare le discriminazioni nel godimento di diritti civili e sociali. Ma se così fosse, basterebbe applicare, anche con la necessaria severità, le leggi vigenti, che già vietano – e sanzionano gravemente – gli atti discriminatori provenienti sia da pubbliche autorità che da soggetti privati. Il vero obiettivo, allora, è quello di estendere i benefici previsti dalle normative vigenti anche a quei soggetti che non formano una famiglia fondata sul matrimonio.
E questo sarebbe il principale argomento a sostegno dell’iniziativa: poiché la “realtà familiare” si è andata evolvendo, le prestazioni pubbliche con finalità di solidarietà sociale vanno attribuite anche alle altre e nuove forme di famiglia ovvero di convivenza più o meno stabilizzata. In breve, si ragiona così: proprio per ragioni di giustizia, di equità e quindi di eguaglianza, le norme stabilite per attribuire determinati diritti – ad ottenere talune prestazioni pubbliche – devono essere progressivamente estesi ad ogni fenomeno sociale più o meno assimilabile a quelli cui espressamente si rivolgono le norme stesse.
Quali problemi riscontra in tutto ciò?
Così ragionando, si finisce per contraddire lo stesso principio di eguaglianza e si viola nello stesso tempo la Costituzione. Il principio di eguaglianza consiste essenzialmente nel disciplinare in modo diverso situazioni diverse, e non certo nell’assimilare e nel trattare in modo uniforme situazioni che, proprio sulla base di una specifica volontà dei soggetti interessati, si intende tenere distinte. Circa la Costituzione, fin a quando quest’ultima prescriverà un’esplicita preferenza per la famiglia fondata sul matrimonio, e sino a quando chi propugna altre e diverse linee di intervento non avrà il consenso sociale, la forza politica e la maggioranza numerica per modificare tale principio secondo le forme della revisione costituzionale, l’estensione dei benefici previsti dalle leggi non potrà essere considerato né una conseguenza obbligata del principio di eguaglianza, né una corretta applicazione di quanto voluto dal Costituente.
Il certificato che verrà rilasciato assume una reale importanza? Di che tipo?
Non essendo ancora noto il testo del provvedimento, non si possono fare previsioni sul punto. In via generale, la rilevanza di tale tipo di attestazione deve limitarsi agli ambiti di competenza dell’ente locale, non potendo acquistare rilievo in altri settori dell’ordinamento o ad altri fini o nei confronti di altri enti pubblici.
Quali sono i maggiori rischi?
A mio avviso, sono due le questioni cruciali: la prima è la possibile riduzione dei benefici che perverranno alle famiglie fondate sul matrimonio. Questo risultato potrà scaturire dalla sempre maggiore difficoltà che si avrà nel reperire le risorse finanziarie necessarie per le politiche sociali del Comune, e, al contempo, dalla progressiva espansione della platea dei soggetti beneficiari mediante l’istituzione del registro delle unioni civili.
E la seconda?
La seconda questione riguarda l’indirizzo politico sottostante alla creazione di un registro delle unioni civili collegato all’erogazione di prestazioni pubbliche a fini sociali. E cioè se questo registro si trasformerà in un “volano” per favorire un ulteriore indebolimento dell’istituto familiare all’interno del tessuto sociale. Come noto, la famiglia giuridicamente costituita è quella che la Costituzione garantisce pure nei suoi “diritti naturali”. Questa è una previsione costituzionale che definisce in modo assai significativo i rapporti tra le pubbliche autorità e la formazione sociale posta alla base della convivenza civile. Tali diritti, insomma, vanno protetti, e non certo ridotti o contraddetti.
(Claudio Perlini)