Come spesso accade, anche noi consiglieri comunali apprendiamo dai giornali le scelte della Giunta Pisapia su questioni decisive per la convivenza nella nostra città. Ieri è stato il caso di Repubblica che sulle pagine milanesi ha reso noto che il Comune va «verso l’ok alla moschea di Cascina Gobba». La giornalista riporta le parole del vicesindaco Maria Grazia Guida: «Ho trovato un luogo ordinato, privo di irregolarità. Conosco i rappresentanti dell’associazione che promuove attività sociali rivolte a donne e bambini. In attesa delle verifiche tecniche, per quanto mi riguarda posso dire che non mi sembra ci siano ostacoli alla legalizzazione». In queste poche righe c’è tutto il limite della sinistra arancione in materia di dialogo con le comunità islamiche. Il tema della convivenza e della realizzare dei luoghi di culto è derubricato a questione di natura urbanistica (“luogo ordinato, privo di irregolarità”, “verifiche tecniche”). Eppure, proprio sulla vicenda di Cascina Gobba è evidente che il dialogo con le minoranze musulmane non può essere posto solo in questa chiave. Si tratta di un immobile di circa 3.000 metri quadrati. Sorge su un’area ex Enel, a 200 metri in linea d’aria dal San Raffaele, acquistata nel 2005 con il milione e centomila euro delle offerte raccolte negli anni dai fedeli che frequentano la Casa della cultura islamica di via Padova 144. Questo edificio vede contrapposto l’imam algerino Asfa Mahamoud e il medico siriano Mohamed Baha’ el-Din Ghrewati, entrambi dirigenti della Casa della cultura. Si dà il caso che questa contrapposizione sia finita in tribunale. Il primo non ha condiviso la scelta del gruppo guidato dal secondo di iniziare la ristrutturazione dell’immobile senza un accordo con il Comune. Eppure Asfa Mahamoud non è un pianta grane, ma un premiato con l’Ambrogino d’oro nel dicembre 2009 dalla Giunta Moratti, un punto di riferimento per la città che opta per la via legalitaria della condivisione delle scelte con la comunità locale. Il medico siriano invece fa capo alla fondazione che ha acquistato l’aria ed è presieduta da Maher Mohamed Kabakebbji.
La fondazione Waqf al Islami (Ente di Gestione Beni islamici) aderisce all’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia (Ucoii), la lunga mano dei Fratelli musulmani in Italia e sigla che non ha mai sottoscritto la Carta dei Valori redatta dalla Consulta dell’Islam italiano del Ministero dell’Interno. In essa sono sanciti quei principi irrinunciabili per ogni dialogo autentico e nel rispetto della dignità umana. Si tratta di enunciazioni semplici, come riconoscere la libertà religiosa dei convertiti, quella delle minoranze nei paesi a maggioranza islamica, sostenere i diritti delle donne, contrastare ogni forma di violenza religiosa e culturale che privi la donna della sua dignità attraverso la pratica dei matrimoni forzati, dei delitti d’onore, delle mutilazioni genitali, ecc. Lotte, tutte queste, che l’Associazione Donne in Rete porta avanti da anni. Maryan Ismail, presidente musulmana di questa straordinaria realtà molto radicata tra le donne africane presenti a Milano e provincia, è stata più volte segnalata dal sottoscritto alla Giunta. Avrebbe molti contributi da portare. Soprattutto nel Coordinamento delle Associazioni Islamiche voluto da Palazzo Marino e presieduto da Davide Piccardo, ex candidato di Sel nelle ultime elezioni amministrative e figlio di Hamza Roberto, esponente dell’Ucoii. Ovviamente alla Ismail è stato negato il diritto a partecipare perché rappresenta un’associazione di donne e non una realtà a carattere religioso. Eppure avrebbe potuto contribuire molto. Soprattutto sostenendo che il dialogo con l’Islam non si può ridurre a questione urbanistica, ma che comporta scelte politiche coraggiose di civiltà.