«La situazione è peggiorata anche in Lombardia. Il tasso di occupazione femminile è infatti passato dal 60% del 2009 all’attuale 55,6%, ed è anche cambiata la qualità del lavoro stesso. Mentre la Lombardia sembrava avvicinarsi a quelli che erano gli obiettivi della Strategia di Lisbona, cioè il 60% di tasso di occupazione femminile a livello europeo, purtroppo adesso stiamo tornando indietro». Rita Brembilla, contattata da IlSussidiario.net, è la responsabile del Coordinamento Donne Pari opportunità della Cisl Lombardia. In questa intervista le chiediamo di commentare i preoccupanti dati che mostrano come ogni anno solo in Lombardia oltre 5mila nuove mamme debbano licenziarsi per l’impossibilità di conciliare la vita lavorativa con quella famigliare.
Quali sono le principali cause?
La prima è sicuramente la crisi che ha attraversato tutto il sistema del mondo del lavoro, ma non solo. Ha inciso pesantemente anche il fatto che nella nostra regione le politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia sono partite molto in ritardo. Solo dal 2011 si parla infatti, in un modo così pressante, della necessità di conciliare il lavoro con la famiglia.
Quali sono i principali problemi che incontra una donna da poco diventata mamma?
Orari e organizzazione del lavoro troppo rigidi e servizi non adeguati ai bisogni delle famiglie. Inoltre, anche quando i servizi ci sono, risultano spesso troppo costosi. C’è poi un problema culturale di base, ancora molto profondo, che riguarda la divisione dei compiti e i ruoli all’interno della famiglia.
E’ vero che la maggior parte delle donne che si licenziano sono dipendenti di piccole o medie aziende? Questo significa che le grandi imprese offrono maggiori possibilità?
Si tratta di un dato trasversale che non riguarda solo le piccole e medie imprese, ma anche le grandi aziende e molte donne che hanno un posto di lavoro altamente qualificato. Da una recente indagine, svolta su circa 900 donne che hanno abbandonato il posto di lavoro in Lombardia, è risultato che i motivi principali sono uno scarso sostegno della rete familiare e l’assenza di servizi e di orari flessibili, tutte cose che chiaramente vanno a pesare maggiormente sulle donne, le prime che poi abbandonano il posto di lavoro.
Secondo lei la nuova norma che liberalizza gli orari di apertura degli esercizi potrà influire ancora più negativamente?
Certo, e ricadrà ancora una volta sulle donne, perché verrà coinvolta più che altro la grande distribuzione, dove i servizi di assistenza alle persone, in particolare l’asilo nido, mancheranno per esempio nel fine settimana, quando invece gli esercizi resteranno aperti. Questo è un grandissimo problema per le donne e per tutte le famiglie coinvolte, che dovranno affrontare un nuovo problema e ricercare la soluzione solo al loro interno.
In base all’indagine di cui mi ha parlato, quanto fatica una donna che si è licenziata a rientrare nel mondo del lavoro?
Se la lavoratrice si dimette durante l’anno di vita del bambino ha diritto alla disoccupazione ordinaria, e deve sottoscrivere al ministero del Lavoro le proprie dimissioni. Il dato più negativo è rappresentato dal fatto che tutte le donne intervistate hanno fatto sapere di non riuscire più a rientrare nel mercato del lavoro e, se teniamo anche conto della riforma delle pensioni che cambierà sostanzialmente il modello del welfare, andando in pensione molto più tardi la situazione non può che peggiorare.
Quali sono le possibili soluzioni?
Il livello aziendale è certamente il primo punto, ma la conciliazione non può essere affrontata solo sotto questo aspetto. Ci deve essere un insieme di interventi che parta dal luogo di lavoro per arrivare fino al territorio, e concrete proposte che possano far conciliare vita lavorativa e famigliare. I servizi non possono certamente coprire le 24 ore, ma un minimo di elasticità è quantomeno doverosa e necessaria. Le aziende spesso non capiscono che si tratta solo di un periodo e che, quando i figli cominciano ad essere più grandi, servirà un altro tipo di flessibilità. Su questo l’Italia resta purtroppo molto rigida, mentre per esempio il nord Europa ha già fatto grandi passi in avanti.
Che scenari prevede?
Il modello a cui oggi ci riferiamo non è più quello costruito sul classico lavoratore maschio nella grande fabbrica. Oggi non è più così, quindi lo scenario è destinato a migliorare. Il tema della conciliazione è sempre più spesso affrontato e sono tanti i dibattiti sull’argomento, ma la vera difficoltà resta ancora quella di tradurre in atti concreti tutte queste parole, con proposte che servano davvero alle donne e a tutte le famiglie.
(Claudio Perlini)