“C’è pochissimo di politico in questo pestaggio” ha scritto un importante quotidiano nazionale riferendosi al caso del giovane massacrato di botte, lo scorso febbraio, da una ventina di studenti all’Università Statale di Milano. In realtà c’è molto di politico ed è bastato l’arresto di due di essi per capire che di politico c’è e molto, quantomeno l’area di appartenenza: centri sociali, antagonismo, no tav. E il manifesto pasticciato da Federico, lo studente di Brera preso a calci in faccia, parlava di “prigionieri comunisti” in carcere. Federico, studente d’arte che si considera artista, non aveva nulla contro i prigionieri comunisti, aveva fatto solo un gesto artistico, ma non gli ha evitato le botte che quasi lo hanno ammazzato. “Questo episodio” ha detto il professor Stefano Zecchi a ilsussidiario.net, “è in realtà solo la punta di un iceberg. Troppo spesso all’Università Statale di Milano si assiste a episodi analoghi, che cadono nel silenzio. Sindaco di Milano e Rettore universitario sono assenti, silenziosi, si limitano a parole d’ordine, ma di fatto non fanno nulla per questa drammatica situazione”.
Professore, questo episodio apre un improvviso flashback che riporta di schianto agli anni 70, alla violenza tra studenti. C’è un filo rosso che lega quella stagione a oggi?
E’ un episodio molto grave ma purtroppo la punta di un iceberg. Quello che finisce sulle pagine di cronaca è poco, rispetto alla realtà concreta. Troppo spesso in università accadono episodi come questo o comunque poco meno gravi e vengono taciuti. Penso all’occupazione della Statale per via dello sgombero dei locali della libreria Cuem, ci furono una occupazione e diversi episodi di violenza.
Che background, che continuità fra il passato e questi giovani di oggi?
Direi che più che un filo rosso c’è una continuità politico culturale. Però quello che io trovo stupefacente sui giornali sono cose come la solidarietà che ha dato il sindaco di Milano al giovane che è stato pestato.
Perché?
Il problema non è dare la solidarietà, ma intervenire. Non è accettabile che un luogo che dovrebbe essere deputato a studio e ricerca sia spesso sede di violenze e di oltraggi come lo era ormai 40 anni fa. Trovo da un lato grottesco e dall’altro cinico questa continuità, dove né il rettore né il sindaco agiscono. Perché come le dicevo questo episodio è solo la punta di un iceberg. Ci sono stati episodi alla fine dell’anno accademico che testimoniano un clima di intolleranza, di forte intolleranza. Non si è mai deciso di intervenire, mai tentato di tenere un atteggiamento responsabile di fronte a questi fatti e ne ho esperienza personale di alcuni di questi.
Non ritiene che una risposta di tipo repressivo potrebbe scatenare violenze più grandi?
Prima ancora di pensare di applicare tattiche per non esacerbare gli animi e per non creare situazioni più gravi occorre intervenire perché moralmente e culturalmente queste situazioni non siano ammesse.
Cioè?
Non si può barattare questa situazione di inaccettabilità politico culturale con l’opportunismo di non arrivare a situazioni più incandescenti.
E’ un dato di fatto che un’area politica ben precisa, che oggi va sotto il nome di antagonismo, ma che tiene dentro molti retaggi politici del passato, goda di una certa intoccabilità, in una città come Milano. Il fatto che dentro le università o i licei ci siano persone di età maggiore, dunque non studenti, a organizzare manifestazioni e altro, è indicativo.
Onestamente non posso dire di avere conoscenze approfondite che ci possano essere agenti esterni. Se penso al 68 o agli anni 70 ovviamente di questi agenti esterni erano piene università e scuole. Quello che lei chiama intoccabilità è data da opportunismo di gestione da parte del sindaco e di chi gestisce l’università, il rettore. Come dicevo, diventa una cosa grottesca e cinica al tempo stesso dichiarare solidarietà e poi non intervenire. E’ una ipocrita tolleranza per non aggravare la situazione. Ripeto: il problema è di carattere culturale innanzitutto e moralmente non può essere barattate il quieto vivere con l’intoccabilità di certi gruppi.
Secondo lei c’è qualcuno che politicamente sfrutta questi giovani?
Non credo, sfruttarli significa perdere consenso. Di fatti questi giovani sono dei grandi ignoranti. Non sono certo uno che salva il 68 e quello che è venuto dopo, ma lì c’erano per quanto deliranti un progetto politico e una visione del mondo. Invece oggi non c’è nulla, c’è la violenza poi non diversa da quella negli stadi, figlia dell’ignoranza. Se qualcuno pensa di cavalcare politicamente questi giovani è un fallito.
Resta alla fine una enorme solitudine e una generazione di giovani contro tutti e contro tutto, pronti alla violenza.
Questo è un dato di fatto. Sono giovani senza una famiglia capace di guidarli o un padre che sia un piano di realtà con cui confrontarsi. Ma a me indigna più di ogni altra cosa chi è proposto alla gestione amministrativa di città e università, che se ne lava le mani o metta la testa sotto alla sabbia.
(Paolo Vites)