Il mercato non tira più, quindi c’è uno stabilimento di troppo. Firmato, Sergio Marchionne. Se l’affermazione è – come suo stile – tranchant, il quadro non è poi così già definito. Due le ipotesi allo studio: l’accorpamento degli impianti di Cassino e Pomigliano con la salvaguardia di una consistente parte dei posti di lavoro, oppure l’introduzione in Italia di una produzione destinata esclusivamente al mercato americano. Secondo il professor Aldo Enrietti, docente di Economia industriale all’Università di Torino, «sono tutte belle ipotesi sulla carta, alcune fattibili, altre meno. Il problema è che Fiat sta scontando un indecisionismo praticato ormai da anni, sia sull’ideazione di nuovo modelli di vetture, sia sugli investimenti». Fiat, spiega Enrietti, ha deciso in modo palese di investire solo in America e in parte in Brasile, dove c’è un ritorno di profitti, e non in Europa e in Italia dove invece ci sono solo perdite.
Professore, come giudica quanto dichiarato da Marchionne negli ultimi giorni?
Il problema denunciato da Marchionne c’è, è indubbio. In Europa c’è un eccesso di capacità produttiva, in particolare di alcuni produttori come Peugeot, Renault e Fiat, molto meno per quanto riguarda Volkswagen. È una situazione fortemente collegata a un rinnovo di modelli piuttosto lento e scarso da parte di Fiat. Negli ultimi anni questo ha determinato una situazione di difficoltà sul mercato e una situazione di accentuato eccesso di capacità produttiva negli stabilimenti italiani. Se si continuasse con questi numeri, direi che nel lungo periodo la situazione sarebbe sicuramente problematica. Già ora, infatti, ci sono stabilimenti sottoutilizzati al 40-50%, per non parlare di Mirafiori dove già adesso la produzione è pressoché ferma, si produce solo l’Alfa Mito. Per qualsiasi impresa che ha dati continui di questo tipo è un problema, quindi ovviamente si deve ridurre la sua attività produttiva. L’ipotesi in sé non è scandalosa, o meglio, è un modo di ragionare potremmo dire per certi versi corretto.
In questo senso anche l’ipotesi accorpamento tra Cassino e Pomigliano è corretta?
L’accorpamento può anche funzionare, nel senso che significa che ci sono stabilimenti dove, grazie a tecnologie produttive estremamente flessibili, è possibile produrre più modelli sulla stessa linea. Quindi, se si assume che il modello già in produzione non saturi la linea, allora c’è posto per un altro modello. Stiamo naturalmente parlando di ragionamenti di principio.
Quella dell’accorpamento degli stabilimenti è un’idea che può salvare molti posti di lavoro…
Accorpare Cassino con Pomigliano permetterebbe di non eliminare tutti i posti lavoro, ma solo una parte. Rimane però il problema che non si individua una strategia produttiva di Fiat per l’Italia. Aver continuato a rimandare il lancio di nuove vetture ha creato un circolo vizioso.
C’è un impegno abbastanza fallimentare da parte di Fiat, ci sembra di capire, ma c’è anche una crisi internazionale che limita la propensione all’acquisto di un’autovettura nuova…
Certamente, è questo spiega il perché in Italia stiamo tornando ai volumi di vendita del 1979. Nel nostro Paese, poi, Fiat pesa per meno del 30% del mercato, e la quota in Europa è ancora inferiore, quindi non c’è un effetto significativo di compensazione perlomeno nei mercati che tengono.
Marchionne ha suggerito anche l’ipotesi di produrre in Italia vetture destinate solo al mercato americano.
Di nuovo, tutte queste ipotesi funzionano se il problema è produrre per vendere. Se io non vendo in Italia e non vendo in Europa, negli Stati Uniti posso vendere. Secondo quello che dice Marchionne noi arriviamo a un tot di capacità produttiva di eventuale ripresa degli stabilimenti e poi basta. Allora, certo, lei può far andare le auto lungo l’Oceano: lo fanno i giapponesi e lo fanno i tedeschi, possiamo farlo anche noi.
Perché non lo facciamo?
Ripeto, di per sé l’ipotesi è valida come le altre, ma stiamo parlando di ipotesi di vendita negli Stati Uniti che andrà bene – sempre che vada bene – nel 2013 e 2014. Si parla di questo modello di Suv piccolo da produrre a Mirafiori, che potrebbe essere esportato. L’ipotesi è credibile, ma sarebbe interessante si potesse fare oggi, ma oggi non è possibile.
Dunque si tratta di una mancanza di strategia da parte di Fiat?
No, non c’è una mancanza di strategia. Io credo ci sia una strategia abbastanza chiara che ha privilegiato il mercato della Chrysler, perché è un mercato in crescita ed è un settore in cui marchio Chrysler è cresciuto molto rispetto ai minimi che aveva toccato quando venne acquistato da Fiat. Chrysler assieme al Brasile sono i due pezzi di internazionalizzazione che portano profitti mentre l’Europa, e l’Italia in particolare, portano perdite consistenti, quindi la scelta è abbastanza palese. Dunque non si fanno investimenti qui da noi, si rinviano. Basti pensare al piano del 2010: se uno lo legge adesso, siamo nel mondo dell’incredibile. Dovrebbe succedere qualcosa da qui al 2014, ma non succederà un bel niente.
In questa situazione quindi la Fiat ha preferito rimandar ogni investimento in Italia?
Direi di sì. La loro risposta non è stata: investiamo in ogni caso per cui sosteniamo le imprese dove il mercato ha tenuto, ma aspettiamo e non facciamo un bel niente. Tutto questo porta le conseguenze che vediamo: non si produce e non si vende.
In conclusione?
È una situazione sicuramente pesante. In tutto questo non c’è dubbio che abbia pesato l’assenza del governo precedente, che tutto ha fatto meno che occuparsi di Fiat e di auto. E quello attuale non è molto più presente. Le prospettive non sono allegre…
(Paolo Vites)