“El Salvador è un paese piccolo, sofferente e lavoratore. Qui viviamo grandi contrasti nell’aspetto sociale, emarginazione economica, politica, culturale, eccetera. In una parola: INGIUSTIZIA. La Chiesa non può restare zitta davanti a tanta miseria perché tradirebbe il Vangelo, sarebbe complice di coloro che qui calpestano i diritti umani. È stata questa la causa della persecuzione della Chiesa: la sua fedeltà al Vangelo”. Sono le parole di Oscar Romero, parte di una lettera scritta a San Wagner il 9 febbraio 1978, che faranno parte del libro “Se mi uccidono, risusciterò nel popolo”, che sarà in libreria dal 24 marzo. «Per molti anni nella Chiesa – scriveva l’arcivescovo martire ad Alfredo T. il 28 ottobre 1977 in una lettera – siamo stati responsabili del fatto che molte persone vedessero nella Chiesa un’alleata dei potenti in campo economico e politico, contribuendo così a formare questa società d’ingiustizie in cui viviamo… Dio sta parlandoci attraverso gli avvenimenti, le persone. Ci ha parlato attraverso padre Rutilio, padre Navarro (sacerdoti assassinati, ndr), i contadini, ecc. Ci parla attraverso la pace, la speranza che sentiamo anche in mezzo a tanti patimenti».
Era il 24 marzo 1980, l’arcivescovo era sull’altare e stava celebrando la messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, quando il sicario su mandato di Roberto D’Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore Alianza Republicana Nacionalista, lo uccise. L’assassino di estrema destra sparò un colpo, che gli recise la vena giugulare, proprio nel momento in cui Romero elevava l’ostia per la consacrazione. Durante le esequie l’esercito sparò sui fedeli, fu un nuovo massacro. Al funerale non presenziò il papa Giovanni Paolo II, delegando a presiedere la celebrazione Ernesto Corripio y Ahumada, arcivescovo di Città del Messico. Poi il 6 marzo 1983 il papa rese omaggio a Romero, che già era venerato come santo dal suo popolo, andando sulla sua tomba.
Al via il processo di beatificazione di Monsignor Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador ucciso da un sicario il 24 marzo 1980 mentre celebrava la messa nella cappella di un ospedale. Papa Francesco ha firmato ieri il decreto, che lo vedrà beato. Romero fu ucciso per il suo impegno nel denunciare le disuguaglianze sociali e le violenze della dittatura nel suo Paese. La pratica vaticana è stata aperta nel 1997 e ferma sino ad oggi, ma il Santo Padre l’ha sbloccata nell’aprile scorso. “Un vescovo potrà morire, ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non perirà mai”, diceva l’arcivescovo di San Salvador. Aveva una famiglia numerosa, era il secondo di otto fratelli. Una famiglia di umili origini. La sua prima formazione la ricevette al seminario di San Miguel nel 1930, poi fu mandato a Roma per completare la sua formazione accademica nella Pontificia Università Gregoriana negli anni tra il 1937 e il 1942. Fu ordinato sacerdote il 4 aprile del 1942. Poi divenne segretario di Miguel Angel Machado, vescovo di San Miguel. Quindi fu chiamato a ricoprire l’incarico di segretario della Conferenza episcopale di El Salvador. Il 25 aprile del 1970 fu nominato vescovo ausiliare di San Salvador. Il 15 ottobre 1974 fu nominato vescovo di Santiago de Maria, un territorio povero. Era schierato dalla parte dei poveri. Il 3 febbraio 1977 ricevette la nomina di arcivescovo di San Salvador. (Serena Marotta)