La Terra, come ogni altro pianeta del sistema solare, regola la propria temperatura in modo che la potenza della radiazione che essa emette verso lo spazio esterno risulti uguale alla potenza della radiazione solare che essa assorbe.
Un’eventuale variazione di uno dei due termini di questo bilancio fa sì che la Terra accumuli o perda energia e ciò causa una variazione della sua temperatura superficiale, con un conseguente cambiamento della potenza della radiazione emessa.
La variazione di temperatura persiste fino a quando la potenza della radiazione emessa non raggiunge il valore che corrisponde alla situazione di bilancio radiativo.
Temperatura di un pianeta e suo bilancio radiativo
Per modellizzare in modo semplice il fenomeno possiamo iniziare ad assumere che la Terra, o più in generale un qualsiasi pianeta, risulti privo di atmosfera, si comporti come un corpo nero e possa essere trattato assegnando a ogni punto della sua superficie la temperatura superficiale media (Tp).
In queste condizioni la potenza della radiazione uscente (Wout) è data dalla seguente relazione:
dove è la costante di Stefan-Boltzmann (5.67 Wm-2K-4) e rp è il raggio del pianeta.
Consideriamo ora che la potenza della radiazione entrante (Win) corrisponde alla potenza della radiazione solare intercettata dal pianeta che può essere espressa come:
dove Sp è detta costante solare del pianeta e rappresenta la potenza che incide su una superficie unitaria di esso posta perpendicolarmente alla radiazione solare. Il valore di questa costante dipende solo dalla distanza del pianeta dal sole e decresce con il quadrato di questa distanza (per la Terra essa vale circa 1360 Wm2).
Vediamo quindi che una prima stima della temperatura superficiale media di un pianeta può essere ottenuta imponendo semplicemente che Win risulti uguale a Wout. Questa stima è però chiaramente non corretta.
Ci basta infatti osservare un qualsiasi pianeta nel cielo notturno per capire che l’ipotesi che esso assorba per intero la radiazione solare che incide su di esso non è vera. Se lo facesse, non saremmo in grado di vederlo! Le stesse osservazioni della Terra dallo spazio ci mostrano che una parte della radiazione solare che colpisce la Terra viene persa, sia per riflessione al suolo che per scattering in atmosfera.
Esiste quindi una certa quota di radiazione solare che un pianeta non è in grado di assorbire. Questa frazione, detta albedo (ap), varia fortemente da pianeta a pianeta e per la Terra risulta del 30% circa. Venere ha invece un’albedo vicino all’80%, mentre l’albedo di Marte è inferiore al 20%.
Se assumiamo ora che un pianeta, pur non comportandosi da corpo nero, si comporti come tale nell’intervallo spettrale interessato dalla radiazione che esso emette, una stima più ragionevole delle sua temperatura si ottiene considerando per la potenza della radiazione uscente il contributo già visto, ma modificando la potenza della componente entrante in modo da tener conto della potenza «persa» per effetto dell’albedo.
La temperatura superficiale di un pianeta può quindi essere stimata per mezzo della seguente relazione:
Questa temperatura è detta temperatura equivalente di corpo nero. Per la terra essa vale -18 °C circa, cioè oltre 30 °C meno della temperatura che si misura effettivamente in prossimità della superficie terrestre.
La differenza tra la temperatura equivalente di corpo nero e la temperatura superficiale può anche essere molto maggiore per altri pianeti. Nel caso di Venere, per esempio, si ha una temperatura equivalente di corpo nero di circa -50 °C, a fronte di una temperatura superficiale di circa 400 °C.
Queste differenze sono dovute al fatto che la radiazione che il pianeta irradia nello spazio circostante non proviene solo dalla sua superficie. La radiazione emessa dalla superficie del pianeta non viene infatti irradiata nello spazio circostante se è presente un’atmosfera in grado di assorbirla in modo efficace. In questo caso la radiazione irradiata nello spazio esterno è quella emessa dall’atmosfera e il bilancio radiativo coesiste con una situazione nella quale la superficie del pianeta emette radiazione con una potenza maggiore di quella della radiazione solare assorbita dal pianeta.
Per meglio comprendere questo meccanismo, schematizziamo il pianeta come composto da una superficie solida (suolo) che si comporti come un corpo nero e da una sottile buccia in grado di assorbire la radiazione come l’intera atmosfera e caratterizzata da un’assorbanza pari ad a1 nell’intervallo spettrale interessato dalla radiazione solare e pari ad a2 in quello interessato dalla radiazione emessa dalla superficie planetaria e dall’atmosfera stessa.
Supponiamo inoltre che la superficie e l’atmosfera possano scambiare energia solo mediante processi radiativi e che il pianeta riceva una potenza per unità di superficie di radiazione solare già ridotta per il termine di albedo.
In queste condizioni, dette x e y le potenze per unità di area emesse dal suolo e dall’atmosfera, possiamo schematizzare il bilancio radiativo come indicato nella figura che segue.
Semplice rappresentazione del bilancio radiativo di un pianeta schematizzato come un corpo nero circondato da una buccia (atmosfera). Essa è caratterizzata da due diverse assorbanze (a1 e a2) per le regioni spettrali interessate dalla radiazione solare e da quella planetaria. Sp(1-αp)/4 è la potenza della radiazione solare per unità di superficie già ridotta di quanto viene perso per albedo. x e y sono le potenze emesse da una unità di superficie di suolo e di atmosfera.
Questa schematizzazione mostra in modo evidente come non sia x, ma (1-a2x)+y a dover essere in equilibrio con Sp(1-αp)/4. Quindi, tanto maggiore risulta la capacità dell’atmosfera di assorbire la radiazione emessa dal suolo (a2), quanto maggiore sarà il suo ruolo nell’equilibrio tra la potenza entrante e uscente dal pianeta.
La figura mostra anche come i valori di x e di y possano essere ottenuti mediante un semplice sistema lineare costruito imponendo che si abbia bilancio tra ciò che viene assorbito ed emesso da suolo e atmosfera.
Si ottengono quindi le seguenti espressioni per x e y:
x = (2-a1)Sp.(1-αp)/4(2-a2)
y = (a1+a2-a1a2)Sp(1-αp)/4(2-a2)
Se consideriamo ora che il suolo si comporta come un corpo nero, possiamo esprimere x come σTp4 e ricavare la temperatura in prossimità della superficie di un pianeta in funzione della sua costante solare (Sp), della sua albedo (αp) e dell’assorbanza della sua atmosfera nelle due regioni spettrali interessate dalla radiazione solare (a1) e dalla radiazione emessa da suolo e atmosfera (a2).
Rottura del bilancio radiativo e cambiamenti climatici
Il modello che abbiamo visto, per quanto estremamente semplice, è in grado di descrivere molto bene come la temperatura che si osserva in prossimità della superficie di un pianeta dipenda essenzialmente da tre fattori:
La potenza della radiazione che esso riceve dalla sua stella (essa dipende sia da quanto intensamente la stella emette sia dalla distanza tra la stella e il pianeta);
L’albedo del pianeta;
L’assorbanza della sua atmosfera. Risulta peraltro particolarmente rilevante l’assorbanza relativa all’intervallo spettrale interessato dalla radiazione emessa dal pianeta stesso. Per la Terra si osserva che praticamente tutta la radiazione emessa ha una lunghezza d’onda compresa tra i 5 e i 30μ.
È quindi chiaro come ogni cambiamento di ognuno di questi fattori lungo il cammino evolutivo del nostro pianeta abbia determinato un cambiamento nella temperatura che si osserva in prossimità della sua superficie. E questi fattori hanno manifestato tutti, numerosi cambiamenti su un ampio ventaglio di scale temporali.
Si pensi, per esempio, alla potenza della radiazione solare che raggiunge la Terra: essa è variata fortemente nel processo evolutivo del Sole, ma varia anche su molte altre scale temporali tra cui è molto noto il ciclo di 11 anni circa delle macchie solari.
Si pensi ancora a quanti fenomeni possono influire sull’albedo della Terra: essi includono le polveri galattiche (esse possono venire catturate dal nostro pianeta e dar luogo a un velo di pulviscolo in atmosfera), le polveri dovute alle eruzioni vulcaniche, cambiamenti nell’aspetto della superficie terrestre (tettonica a placche, orogenesi, fenomeni isostatici), la presenza o meno di masse glaciali e la copertura del suolo da parte della vegetazione.
Si pensi, infine, a quanto profondamente è cambiata la composizione dell’atmosfera terrestre lungo il cammino evolutivo del nostro pianeta.
È quindi del tutto chiaro che se ci si mette in una prospettiva di lunghe scale temporali, i cambiamenti climatici non siano un fatto eccezionale, ma siano un fenomeno assolutamente normale.
È peraltro molto interessante osservare come anche cambiamenti che in apparenza sembrano poco rilevanti siano in grado di incidere fortemente sul clima della Terra.
Un primo esempio è costituito dalla posizione della massa continentale: con opportuni modelli si stima che una disposizione di masse continentali centrata sulle due regioni polari dà luogo a un pianeta molto più freddo che una disposizione di masse continentali con tutte le terre emerse nelle zone più calde del pianeta.
Un secondo esempio è costituito dall’effetto di piccole variazioni nel modo in cui la Terra orbita intorno al Sole. Esse coinvolgono l’eccentricità dell’orbita, l’inclinazione dell’asse terrestre rispetto alla normale al piano dell’eclittica e la posizione lungo l’orbita in cui l’asse terrestre forma un certo angolo con il segmento Sole-Terra (per esempio posizione che corrisponde a uno degli equinozi).
Queste variazioni non incidono sull’energia che il nostro pianeta riceve complessivamente nell’arco di un anno, ma sono comunque in grado di modificare la distribuzione con la quale questa energia raggiunge latitudini diverse nei diversi momenti dell’anno.
Questo fenomeno è riconosciuto come la causa principale delle numerose glaciazioni del recente (in termini geologici) passato. Più in dettaglio il fattore chiave sembra essere la maggiore o minore quantità di radiazione solare che arriva sull’emisfero boreale nella stagione estiva.
Quando essa si riduce, la neve accumulata al suolo nella stagione invernale viene a sciogliersi più difficilmente e si hanno condizioni più favorevoli per l’espansione delle zone coperte dai ghiacciai. La maggior estensione di queste zone incide quindi sull’albedo superficiale instaurando un feed-back positivo che fa sì che a una piccola perturbazione corrisponda un effetto piuttosto rilevante.
E questi esempi, peraltro descritti in modo molto semplificato, costituiscono solo un piccolo campione dei moltissimi fenomeni in grado di modificare il clima del nostro pianeta.
Cambiamenti climatici di natura antropica
Il clima della Terra non varia però solo per cause naturali. Ai moltissimi fenomeni naturali in grado di determinare cambiamenti nel clima del nostro pianeta, si aggiungono, infatti, fenomeni dovuti all’attività dell’uomo.
L’aspetto più preoccupante di questi fenomeni è che essi hanno luogo su una scala temporale molto più breve di quella che caratterizza generalmente i fenomeni naturali.
Relativamente all’impatto delle attività antropiche, l’aspetto più preoccupante è che l’uomo sta incidendo fortemente sulla capacità dell’atmosfera di assorbire la radiazione infrarossa. La conseguenza di ciò è che una parte più piccola della radiazione emessa dalla superficie terrestre e dagli strati inferiori dell’atmosfera riesce ad abbandonare il nostro pianeta.
Questa opacità dell’atmosfera alla radiazione infrarossa non dipende dai suoi costituenti primari, ma dal vapore acqueo e da una serie di costituenti minori (gas-serra), il più noto dei quali è il biossido di carbonio (CO2).
La concentrazione di questo composto è in costante aumento da oltre 150 anni e, se prima della Rivoluzione Industriale le molecole di CO2 costituivano solo lo 0,027% delle molecole presenti in atmosfera, oggi questa percentuale è salita allo 0,04%, un valore che probabilmente non è mai stato raggiunto negli ultimi 20 milioni di anni.
Contemporaneamente all’incremento dei gas-serra, nel corso degli ultimi 100-150 anni si è osservato un aumento della temperatura in prossimità della superficie terrestre (global warming).
I dati di cui disponiamo per descrivere questo fenomeno provengono da migliaia di stazioni con serie di osservazioni spesso lunghe più di 100 anni, che coprono praticamente l’intero pianeta. Essi mostrano con chiarezza come gli ultimi 20 anni (1996-2015) siano indubbiamente stati i più caldi dell’intero periodo per il quale sia disponibile un ragionevole numero di osservazioni strumentali, con un notevole incremento della temperatura rispetto ai livelli caratteristici della seconda metà del XIX secolo.
In questo periodo si è anche verificato l’anno più caldo (2015) con 0,76 gradi in più rispetto alla media del periodo 1961-1990, nonché 19 dei 20 anni più caldi del periodo 1850-2015 (data set HadCRUT4, disponibile al link: www.cru.uea.ac.uk/).
Anche se il trend a lungo termine della temperatura globale in prossimità della superficie terrestre risulta ormai acquisito, molti progetti di ricerca volti alla ricostruzione della variabilità e dei cambiamenti climatici sono in corso in tutto il mondo. Essi si propongono:
Di estendere l’orizzonte temporale, cercando di arrivare a un periodo dell’ordine dei 200-250 anni,
Di migliorare la risoluzione spaziale, cercando di passare da un’informazione globale a una regionale o locale,
Di ampliare lo spettro delle variabili meteorologiche, considerando accanto alle variabili più studiate (temperature e precipitazioni), variabili come la copertura nuvolosa, l’eliofania, l’umidità, eccetera.
Un ulteriore importante obiettivo della ricerca consiste nella riduzione dell’errore relativo alle valutazioni dei trend a lungo termine delle variabili meteorologiche. A questo proposito, molti importanti risultati sono già stati ottenuti nel corso degli ultimi 20/30 anni ed è presumibile che nel prossimo futuro si arriverà a ulteriori miglioramenti.
La figura che segue mostra l’andamento delle temperature in Italia a partire dal 1800. Questo risultato è stato prodotto nell’ambito di un ampio programma di ricerche condotto presso l’Università degli Studi di Milano e l’ISAC CNR con l’obiettivo di documentare e di studiare la variabilità e i cambiamenti del clima italiano nel corso degli ultimi due secoli.
Andamento delle temperature medie annuali nel periodo 1800–2016 relative a una serie rappresentativa dell’intero territorio nazionale italiano. I dati sono espressi in termini di anomalie rispetto al periodo 1971-2000. Per una più efficace visualizzazione degli andamenti a lungo termine, viene anche mostrata la serie che si ottiene filtrando i dati mediante un filtro gaussiano passa basso. Questa serie viene aggiornata mensilmente dal gruppo di climatologia storica di ISAC/CNR e pubblicata al link: www.isac.cnr.it/climstor/climate_news.html
Il global warming è confermato, oltre che dai dati degli ultimi 150 anni, anche da studi relativi a periodi più lunghi, per quanto in questo caso si abbiano maggiori incertezze.
Questi studi vengono svolti assemblando i dati strumentali, con informazioni ricavabili da antiche testimonianze (per esempio cronache riguardanti la transitabilità di certi valichi alpini, diari con annotazioni relative alle date delle vendemmie e alla qualità dei vini, dipinti raffiguranti i principali ghiacciai alpini, eccetera) e con indici che si possono ricavare dagli archivi naturali (anelli degli alberi, carote di ghiaccio, coralli, eccetera).
Questi studi consentono di arrivare a stimare con ragionevole accuratezza e con elevata risoluzione temporale l’andamento della temperatura per un periodo di circa 1000 anni. Per quanto i dati stimati con questo metodo siano più incerti di quelli relativi agli ultimi 100-150 anni, essi consentono di affermare che il global warming ha portato la temperatura, da valori relativamente bassi, a un massimo negli ultimi venti anni che risulta il massimo assoluto dell’intero millennio.
Accanto a un incremento della temperatura, nel corso degli ultimi decenni si sono osservati significativi cambiamenti anche per altre grandezze meteorologiche. Di particolare rilievo risulta il segnale relativo alle precipitazioni. Per questo parametro, oltre a un debole incremento alle medie e alte latitudini dell’Emisfero Settentrionale, si osserva per diverse zone una tendenza a manifestare un maggiore numero di eventi precipitativi di forte intensità.
Per l’Italia questo fenomeno andrà seguito con grandissima attenzione in quanto il nostro Paese, in virtù di svariati elementi caratteristici quali la presenza della catena alpina ed appenninica, la vicinanza al Mediterraneo e l’elevata densità della popolazione, ha una naturale propensione al rischio alluvioni, il che lo rende criticamente esposto a un eventuale incremento degli eventi precipitativi di forte intensità.
Un’ultima informazione fornita dalle osservazioni è che il riscaldamento degli ultimi 100-150 anni non è mostrato solo dalle serie di dati meteorologici, ma risulta documentato anche da numerosissime altre evidenze sperimentali come, per esempio, la forte riduzione volumetrica dei ghiacciai montani in quasi tutto il Pianeta.
Sistema Climatico e sua modellizzazione
Per quanto i processi fisici legati all’effetto dei gas-serra sul clima della Terra siano semplici e molto ben conosciuti, quando si cerca di passare da una descrizione qualitativa del fenomeno a un’analisi quantitativa ci si rende immediatamente conto dell’enorme complessità del problema.
Un primo problema è costituito dal fatto che, accanto ai gas-serra, vi sono numerosi altri fattori, di carattere sia naturale sia antropico in grado di influenzare il bilancio radiativo del nostro Pianeta.
È peraltro importante sottolineare come anche il solo contributo delle emissioni antropiche risulti molto più complesso di quello dovuto ai soli gas serra, in quanto, accanto ai gas-serra, l’uomo ha emesso, e continua a emettere, altri composti come, per esempio, il biossido di zolfo (SO2) in grado di formare in atmosfera particelle di piccolo diametro.
Queste particelle potrebbero aver aumentato la capacità dell’atmosfera di riflettere la radiazione solare prima che essa giunga al suolo, alterando quindi il bilancio radiativo con un effetto opposto a quello dei gas-serra. L’effetto degli aerosol atmosferici sul bilancio radiativo del Pianeta è purtroppo molto difficile da quantificare in quanto, oltre a interagire direttamente con la radiazione, essi hanno anche importanti conseguenze sulla formazione delle nubi.
Il modo più semplice per cercare di valutare in modo quantitativo quale possa essere stato l’effetto dei vari fattori che potrebbero aver contribuito ad alterare il clima della Terra nel corso degli ultimi due/tre secoli consiste nell’utilizzo di modelli matematici in grado di capire come ogni singolo fattore possa aver contribuito a «rompere» il naturale bilancio tra la radiazione solare che giunge sul nostro pianeta e quella terrestre che viene riemessa verso lo spazio esterno.
Questi strumenti, concettualmente simili al semplicissimo modello descritto nella prima figura, vengono utilizzati alterando i vari fattori dalle condizioni tipiche del periodo precedente alla Rivoluzione Industriale a quelle odierne.
Le simulazioni vengono effettuate considerando un fattore alla volta e assumendo che il Sistema Terra non metta in atto nessun meccanismo per rispondere alla rottura del bilancio tra la radiazione entrante e quella uscente. Il risultato delle simulazioni fornisce quindi una stima (espressa in Watt per metro quadrato) di quanto vari fattori (antropici e naturali) possano aver contribuito a rompere il naturale bilancio radiativo del nostro Pianeta. Questo dato è indicato con il termine di forcing radiativo.
I risultati di queste simulazioni attribuiscono alla crescita delle concentrazioni dei gas-serra registrata nel corso degli ultimi due/tre secoli un forcing radiativo di circa 3 W/m². Accanto a questo dato però, si hanno anche valori di forcing negativo come quelli relativi agli effetti diretti e indiretti degli aerosol atmosferici.
Il risultato complessivo dei fattori di carattere antropico viene quindi stimato pari a circa 2,3 W/m². Questo dato però è soggetto a significativa incertezza e pertanto, oltre alla migliore stima, è necessario fornire l’intervallo entro il quale il valore corretto abbia una data probabilità di collocarsi effettivamente. E questa informazione mostra come le stime di forcing radiativo siano affette da errori non piccoli.
A questo problema si aggiunge il fatto che le precedenti stime di forcing radiativo sono fatte nell’ipotesi semplificatoria che il Sistema Terra non metta in atto nessun meccanismo per rispondere alla rottura del naturale bilancio tra la radiazione entrante e quella uscente.
Risulta quindi evidente come una corretta descrizione dell’effetto dei vari fattori in grado di alterare il clima terrestre richieda l’utilizzo di strumenti più sofisticati che siano anche in grado di modellizzare il comportamento del nostro Pianeta. In altri termini è necessario arrivare a una modellizzazione matematica del Sistema Terra.
La modellizzazione matematica di un fenomeno consiste nello schematizzare tale fenomeno in modo che esso possa venire descritto da poche leggi fisiche fondamentali. Tali leggi vengono poi rappresentate per mezzo di equazioni la cui soluzione consente di capire come il fenomeno evolve in funzione delle condizioni iniziali e di ciò che avviene nel «mondo» che lo circonda.
Questo schema si può applicare a molti fenomeni geofisici; l’applicazione forse più conosciuta è costituita dalle previsioni del tempo che consistono nel prevedere l’evoluzione della circolazione atmosferica in funzione dello stato dell’atmosfera in un determinato istante iniziale.
Vi sono però numerosissime altre applicazioni; così si costruiscono modelli per descrivere il moto dell’oceano, per schematizzare il ciclo del carbonio, per comprendere l’evoluzione dei ghiacci terrestri e marini, eccetera.
Ora, l’aspetto che rende particolarmente problematica la modellizzazione dei fenomeni geofisici è che il Sistema Terra è costituito da vari comparti (atmosfera, idrosfera, litosfera, criosfera e biosfera) che, oltre a essere di per sé sistemi complessi, interagiscono anche profondamente tra loro.
Queste profonde interazioni fanno sì che una corretta modellizzazione del sistema richieda la costruzione di modelli integrati che consentano di descrivere, accanto a ciò che avviene nei singoli comparti, anche le reciproche interazioni. Ciò rende il problema molto complicato e fa sì che, nonostante i grandi sviluppi avuti nel corso dell’ultimo decennio, la nostra capacità di modellizzare il clima risulti ancora piuttosto limitata.
Al di là di questi problemi è però necessari sottolineare che la nostra capacità di modellizzare il Sistema Terra è uno strumento assolutamente fondamentale per meglio comprendere i processi coinvolti nell’attuale riscaldamento del nostro pianeta.
Mitigazione e adattamento
La nostra capacità di modellizzare il Sistema Terra è anche fondamentale per poter formulare degli scenari futuri, anche se la formulazione di questi scenari richiede un dato che la fisica non può aiutarci a formulare, ovvero, un’indicazione di quanto virtuoso sarà il comportamento futuro dell’umanità in relazione alla riduzione delle emissioni antropiche di composti climalteranti.
Ma al di là di questo problema, tutti gli scenari che possiamo produrre mettono in evidenza come nel prossimo futuro si avranno cambiamenti climatici tali da giustificare una profonda preoccupazione e da indurci ad agire con decisione, concretezza e tempestività.
Le azioni da intraprendere dovranno, da una parte pervenire a una progressiva mitigazione delle emissioni dei gas-serra, e, dall’altra, mettere in atto una serie di strategie per consentire un miglior adattamento ai cambiamenti climatici.
Contemporaneamente all’adozione di efficaci provvedimenti per il controllo delle emissioni di gas-serra, l’uomo dovrà mettere in atto un grande sforzo scientifico per ottenere una più approfondita conoscenza del Sistema Terra.
Questo sforzo richiederà sicuramente lo sviluppo di nuovi modelli di simulazione e previsione climatica e l’utilizzo di risorse di calcolo e di metodi numerici sempre più avanzati.
Indissolubilmente legato alla parte modellistica e d’importanza forse ancora maggiore, risulta lo sviluppo delle osservazioni, in quanto solo la minuziosa osservazione di ciò che accade nel presente e di ciò che è accaduto nel passato nei diversi comparti del Sistema Terra può consentirci di capire quali siano i processi e le interazioni fondamentali da considerare ai fini di una corretta comprensione dell’evoluzione delle condizioni dell’atmosfera.
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Maurizio Maugeri
(Università degli Studi di Milano)
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