L’uomo ha da sempre, fin dalle epoche più remote della preistoria e della storia, sfruttato le risorse naturali per usarle ai propri fini: ricerca e produzione di cibo, allevamento di animali, costruzione di manufatti, indumenti, abitazioni, armi e strumenti per molteplici scopi.
La rivoluzione industriale della fine del XVIII secolo ha dato un notevole impulso allo sfruttamento delle risorse naturali per l’impiego di energia (dapprima vapore e in seguito elettricità) nei processi di estrazione di materie prime e di produzione di beni con la realizzazione di operazioni industriali su larga scala.
Earth overshoot day: consumiamo risorse più velocemente di quanto la Terra sia in grado di rinnovare
Per molti anni si è ritenuto che le risorse naturali fossero quasi infinite, poi in alcuni settori si sono resi evidenti i limiti soprattutto per quanto riguarda i carburanti fossili: carbone, petrolio, gas naturale. Ne consegue che l’attenzione e le ricerche si stanno orientando sulle fonti energetiche rinnovabili quali: sole, vento, maree, eccetera.
Ogni anno viene anticipato il giorno di superamento della disponibilità delle risorse naturali della terra: earth overshoot day, quindi si stanno consumando le limitate risorse naturali più rapidamente di quanto la Terra sia in grado di rigenerarle.
Questa valutazione viene fatta da Global Footprint Network, organizzazione di ricerca internazionale che monitora la domanda e l’offerta di risorse naturali e di servizi ecologici, proprio come le banche tracciano le proprie uscite ed entrate.
In circa otto mesi vengono consumate più risorse rinnovabili di quante il pianeta possa metterne a disposizione per un intero anno: quindi dopo questa data vengono prelevate risorse e viene accumulata CO2 in atmosfera.
Risulta indispensabile trovare un nuovo modo di vivere sul Pianeta e di utilizzarne le risorse.
L’impronta ecologica deriva dagli indicatori di attività umane e ambientali correlate
È evidente che le risorse che fornisce la natura sono indispensabili, ma è fondamentale sapere quanto si stia utilizzando e quanto si abbia a disposizione. Bisogna quindi valutare l’«impronta ecologica», che è l’indicatore utilizzato per misurare il consumo di risorse naturali rispetto alla capacità della Terra di rigenerarle.
Dal 1950 l’industrializzazione ha innestato la «quinta marcia», è iniziata la «Grande Accelerazione» che ha portato a supporre che si sia entrati in una nuova era, l’Antropocene.
Viene emessa in atmosfera più CO2 di quanto gli oceani e le foreste siano in grado di assorbire; le zone di pesca e le foreste vengono depredate più velocemente di quanto siano in grado di riprodursi e ricostituirsi. Quindi l’uomo ha fortemente influenzato l’ambiente.
Si è entrati in una nuova era geologica? Si è passati dall’Olocene all’Antropocene: epoca geologica guidata dall’uomo?
L’Olocene è l’era caratterizzata dall’attività umana che ha iniziato a usare i terreni per incrementare la produzione di cibo, la costruzione delle città, l’uso di risorse: acqua, energia, minerali.
Si parla di una nuova epoca: l’Antropocene
L’Antropocene può essere considerata la fase terminale dell’Olocene, caratterizzata da rapidi cambiamenti ambientali dovuti all’impatto della crescita della popolazione e all’aumento dei consumi.
Vengono individuati 24 indicatori: 12 descrivono l’attività umana: la crescita economica (PIL), la popolazione, gli investimenti diretti, il consumo di energia, le telecomunicazioni, il trasporto, l’utilizzo di acqua; 12 illustrano le variazioni nelle principali componenti ambientali del Sistema Terra: il ciclo del carbonio, la biodiversità.
Si osserva come i grandi cambiamenti del Sistema Terra siano in gran parte direttamente correlati ai cambiamenti del sistema economico globale.
L’inquinamento ambientale è una conseguenza di questa «accelerazione»
I paesi che inquinano di più sono la Cina e gli Stati Uniti, che producono quasi metà della CO2/anno e insieme ai principali paesi industrializzati generano 2/3 delle emissioni mondiali.
L’inquinamento atmosferico è un esempio. L’inquinamento dell’aria è una modifica alla sua normale composizione (Azoto N2: 78,08%;- Ossigeno O2: 20,95%; Argon Ar: 0,93%; Vapore acqueo H2O: 0,33% in media (variabile da 0% a 5-6%); Biossido di carbonio CO2: 0,032%) provocata da fumi, gas, polveri, odori, in pratica da tutte le sostanze che ne alterano la composizione e possono causare danni alla salute dei cittadini, ai beni pubblici e privati.
Gli inquinanti possono essere naturali: elementi del suolo, batteri e virus, funghi, pollini, particelle di sale da spray marino; prodotti dall’uomo: da processi di combustione per riscaldamento, per impianti industriali, per produzione di energia, utilizzo di veicoli a motore.
Possono avere origine diversa: biologica (virus, batteri, pollini, acari, allergeni, funghi); chimica (NOx , CO, O3, SOx, PM1, PM2.5, PM10, composti organici volatili, HPA, fumo di sigaretta, pesticidi); fisica (onde elettromagnetiche, radiazioni luminose, radiazioni ionizzanti, rumore).
Quali sono le sorgenti?
L’inquinamento dell’aria per chi vive in città è prodotto dal traffico veicolare, dalle emissioni di industrie, dal riscaldamento (in inverno) [Clougherty and Kubzansky, 2009; Camatini, 2011]. La posizione geografica condiziona l’inquinamento: per esempio la pianura padana è circondata da monti su tre lati e la circolazione dei venti e delle masse d’aria è limitata da questa situazione. Anche i fattori climatici, in particolari le condizioni meteorologiche, causano il fenomeno dell’inversione termica, frequente nella Pianura Padana.
Le condizioni meteorologiche influenzano la permanenza di inquinanti al suolo. Nelle aree urbane si crea lo «smog fotochimico» costituito da inquinanti originati dalle reazioni tra composti chimici (ossidi di azoto e ossigeno) e le radiazioni solari. Inoltre le reazioni tra i gas in atmosfera possono dare origine alle «piogge acide» e causare anche danni alle opere d’arte.
L’inquinamento nei grandi centri urbani e industriali ha conseguenze negative sulla salute: una lunga esposizione causa una riduzione della funzionalità polmonare, un aumento delle malattie respiratorie nei bambini e attacchi di bronchite e asma. Una breve esposizione può provocare irritazione, tosse e affezioni respiratorie [Camatini et al., 2010; 2010].
Le sorgenti d’inquinamento si sono modificate nel tempo. Negli anni Sessanta del secolo scorso il carbone e le nafte costituivano l’80% dei combustibili per il riscaldamento domestico Sono poi stati utilizzati olii combustibili a basso tenore di zolfo e di recente il metano.
Attualmente sono in aumento gli ossidi di azoto (NOx), generati dai processi di combustione (traffico veicolare, uso di metano per riscaldamento domestico). Il metano, il più «pulito» dei combustibili, produce una grande quantità di NOx, per la elevata temperatura di combustione. L’aumento di NOx determina un aumento nella concentrazione di ozono, che nel periodo estivo, supera i valori di soglia. Il particolato atmosferico (PM) rappresenta l’elemento attualmente più problematico da valutare.
Dagli anni Settanta sono in atto politiche per la riduzione delle emissioni in atmosfera. Queste politiche hanno dato risultati positivi per alcuni inquinanti: biossido di zolfo, piombo e monossido di carbonio, ma per biossido di azoto, ozono e PM non hanno portato a risultati concreti. Attualmente l’attenzione è rivolta al PM per l’evidenza dei pesanti impatti che ha sulla salute.
I limiti delle normative per emissioni in atmosfera
Le prime normative per il controllo dell’inquinamento sono state emanate dalla Comunità Europea tra il 1980 e il 1999: quattro direttive riguardano il controllo delle emissioni: Council Directive 80/779/EEC del 15 luglio 1980 sui valori limite della qualità dell’aria; Council Directive 85/203/EEC del 7 Marzo 1985 sui valori standard per gli ossidi d’azoto; Large Combustion Plants Council Directive 96/62/EC sulle emissioni di impianti industriali e Council Directive 1999/30/EC per i valori limite per solfati, nitrati PM e piombo.
Questa direttiva viene recepita con Il DM 60 del 2/4/2002 e pone il valore di 50 µg/m³ come limite giornaliero di PM10 nelle aree urbane. ECC -Directive 2008/50/EC sulla qualità dell’aria in Europa comprendente come nuovo elemento da monitorare il PM2.5 imponendone i valori limite e i livelli di esposizione.
Viene comunque esteso per 3 anni il limite normativo per PM10 e di 5 anni per NO2 e benzene, tenendo conto delle condizioni dei vari paesi della comunità europea. Questa direttiva viene recepita dal D.Lgs. 155/10 , poi dal D. Lgs 24 dicembre 2012, n 250 [Baccini et al., 2011; EC 2013].
Danni provocati su ambiente e salute
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiara che la diminuzione di PM10, prodotto da materiali fossili e altri carburanti, da 70 a 20 μg/m³ ridurrebbe la mortalità del 15% all’anno. L’inquinamento dell’aria causa circa 2 milioni di morti premature ogni anno nel mondo e molti Paesi non hanno una regolamentazione sull’inquinamento atmosferico e gli standard nazionali variano in modo significativo. I singoli Governi devono stabilire standard nazionali in base alle proprie esigenze, ma mantenendo i livelli di inquinamento in modo da provocare un minimo rischio per la salute. Nell’Unione Europea il PM 2,5 causa una perdita di aspettativa di vita di circa 8,6 mesi.
Il PM è il principale fattore di rischio per la salute, ma le nuove Linee guida abbassano anche il limite giornaliero per l’ozono, da 120 a 100 μg/m³. Questo è un problema per i Paesi in via di sviluppo che hanno molti giorni di Sole, quindi le concentrazioni di ozono raggiungono i valori massimi, causando problemi respiratori e attacchi di asma [EEA 2012; 2014].
La valutazione dei dati sulla salute, completata nel 2012 dall’Organizzazione Europea della Sanità, indica che: il PM aumenta il rischio dei decessi respiratori nei neonati al di sotto di un anno; influisce sullo sviluppo delle funzioni polmonari; aggrava l’asma e causa patologie respiratorie (tosse e bronchite nei bambini), come risulta indicato dai ricoveri ospedalieri per questa causa. Il PM2.5 danneggia gravemente la salute aumentando i decessi per malattie cardio-respiratorie. L’aumento delle concentrazioni di PM2.5 aumenta il rischio di ricoveri ospedalieri d’emergenza per malattie cardiovascolari e respiratorie [Perrone et al.,2013].
L’International Agency for Research on Cancer (la massima autorità mondiale in fatto di studio degli agenti cancerogeni) ha presentato a Parigi il 17 ottobre 2013 i dati della monografia numero 109 dedicata, appunto, all’outdoor air pollution [IARC, 2013]. L’inquinamento atmosferico è stato classificato nel GRUPPO 1 delle sostanze cancerogene, quindi cancerogeno per l’uomo come il cloruro di vinile, la formaldeide, l’amianto, il benzene, le radiazioni ionizzanti.
Interventi mirati
Il traffico veicolare è il principale responsabile della produzione di polveri fini, emesse da tutti i mezzi di trasporto. I veicoli diesel emettono più polveri per kilometro percorso in confronto ai veicoli a benzina, che comunque producono quantità di polveri. Anche i freni e gli pneumatici rilasciano polveri, come pure l’asfalto.
I governi non hanno intenzione di ridurre il numero di veicoli che circolano sulle strade in quanto hanno l’obiettivo di garantire il futuro del trasporto su strada. Quindi devono essere gli utenti della strada a decidere di ridurre i loro spostamenti in auto. Un uso razionale dell’automobile può avvenire quando le autorità locali offriranno alternative valide: un trasporto pubblico rapido, sicuro, comodo e pulito.
Il ruolo della ricerca
La ricerca studia gli effetti del PM analizzando la composizione chimica e valutandone poi l’impatto su sistemi in vitro e in vivo. Dimostra che le differenze nella composizione chimica di PM delle frazioni PM10, PM 2.5 corrispondono a risposte biologiche differenti [Gualtieri et al., 2008].
Il PM estivo e quello invernale hanno composizione diversa e provocano risposte diverse. Gli effetti sulla salute sono significativi e riguardano: vitalità cellulare, processi infiammatori, impatto sul DNA e sono confermati da tutte le indagini, chimiche, biologiche, cliniche ed epidemiologiche.
Le valutazioni sperimentali si riferiscono a risposte di tipo «acuto» e individuano la correlazione tra le singole componenti chimiche di PM e gli effetti prodotti
La ricerca deve andare avanti per arrivare a stabilire quali sono i valori soglia di tossicità del PM, in base alle sorgenti di emissione (diesel, biomasse) e ai singoli composti (Longhin et al., 2016). Deve poi esserci la recezione dei risultati da parte degli Enti preposti al controllo per indirizzarne le politiche di intervento.
I Politici e gli Amministratori dovrebbero favorire l’uso di combustibili non inquinanti, migliorare le caratteristiche tecniche dei motori dei veicoli, realizzare reti di trasporto pubblico che riducano il traffico cittadino e l’inquinamento, favorire l’uso di biciclette, ridurre l’inquinamento atmosferico prodotto da sorgenti fisse.
Percorsi di sostenibilità ambientale
Risulta quindi che consumiamo più delle risorse disponibili ed emettiamo in ambiente sostanze dannose per l’ambiente e la salute. A questo punto è irrinunciabile porsi delle prospettive inerenti le aspettative future, che devono orientarsi verso uno «sviluppo sostenibile».
Lo sviluppo sostenibile intende avviare percorsi per migliorare la propria sostenibilità: questo significa attuare strategie più attente all’ambiente e alle risorse naturali con particolare riguardo agli aspetti economici e sociali.
Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che assicura «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri». Quindi «sostenibilità» vuol dire realizzare una compatibilità tra lo sviluppo delle attività economiche e la salvaguardia dell’ambiente.
Una soddisfazione dei bisogni essenziali può essere assicurata dopo avere realizzato uno sviluppo economico finalizzato all’ambiente, che veda i paesi più ricchi adottare stili di vita capaci di non impoverire la biosfera e i paesi in via di sviluppo crescere a ritmi compatibili con l’ecosistema.
La sostenibilità ambientale va oggi intesa come prioritaria per qualsiasi ente o impresa: è fondamentale analizzare la propria performance green e intraprendere percorsi di «buone pratiche» per la sostenibilità.
Avviare percorsi per migliorare la propria sostenibilità significa attuare strategie più attente all’ambiente e alle risorse naturali con particolare riguardo agli aspetti economici e sociali. La sfida attuale è di riuscire a ottenere risultati inerenti ai tre i pilastri della sostenibilità: ambientale, economico, sociale.
Obiettivi per lo sviluppo sostenibile
Nell’ottobre del 2015, in uno storico vertice, i leader di 193 paesi membri dell’ONU si sono impegnati per realizzare un’agenda globale di obiettivi da raggiungere entro il 2030. Obiettivi ambiziosi, che chiamano tutti i paesi a perseguire uno sviluppo sostenibile in grado di combinare sviluppo economico, inclusione sociale e sostenibilità ambientale, attraverso azioni a livello locale, nazionale e internazionale.
Ha 17 Obiettivi che affrontano: l’ineguaglianza, i sistemi di produzione e consumo non sostenibili, le infrastrutture inadeguate e la mancanza di occupazioni dignitose, la dimensione ambientale, gli oceani e le risorse marine, gli ecosistemi e la biodiversità.
L’Italia è al 35esimo posto nella graduatoria mondiale degli indici di sviluppo sostenibile definiti dall’ONU (Rapporto SDG Index & Dashboard realizzato da Sustainable development solution network). È una delle posizioni peggiori tra i paesi dell’Unione Europea, mentre viene sostanzialmente confermata la posizione che vedeva il nostro paese al 29esimo posto su 180 paesi, una posizione che ci pone peraltro davanti alla Germania e al di sotto della media OCSE.
È una fotografia che dimostra quanto sia ancora difficile la strada da percorrere per l’Italia. Tuttavia, analizzando la situazione mondiale, l’Europa risulta essere il continente più sostenibile, e i primi 12 paesi della classifica mondiale sono europei. Tra quelli non europei il migliore è il Canada, poi il Giappone (18esimo), l’Australia (20esimo) e gli USA (25esimo). La Russia (47esimo), la Cina (76esimo) e l’India (110esimo) sono ancora in forte ritardo.
È fondamentale applicare il concetto di «sostenibilità» alla realtà in cui si vive, solo in questo modo sarà possibile realizzare stili di vita compatibili con un miglioramento tangibile.
È indispensabile stabilire l’impronta ambientale di ogni struttura sia essa pubblica o privata. Come si calcola l’impronta ambientale? Analizzando i propri consumi per l’energia, i rifiuti, la mobilità e l’uso delle risorse.
La metodologia Life Cycle Assessment (LCA) identifica gli impatti di un processo /servizio sull’ambiente e la Carbon Footprint (CF) fornisce i dati di emissioni di gas serra, quindi definisce il contributo ai cambiamenti climatici (Magatti et al., 2013; Hoff et al., 2014).
La sostenibilità in Università Bicocca
Il centro POLARIS dell’Università degli Studi di Milano Bicocca ha applicato queste metodologie per valutare le emissioni dei propri edifici, per organizzare una efficiente sistema di raccolta differenziata per i rifiuti, un utilizzo intelligente delle risorse idriche, un sistema di mobilità partecipata.
Queste iniziative sono state messe in atto con il Progetto Carbon Management, che è iniziato nel 2012 in base a un accordo con il Ministero dell’Ambiente che ha promosso «azioni per l’analisi, la riduzione e neutralizzazione dell’impatto sul clima del settore dei servizi Universitari», indicando come obiettivi: la riduzione delle emissioni in atmosfera; il risparmio energetico; il miglioramento dei servizi; la sensibilizzazione del personale e degli studenti.
I risultati ottenuti nell’Università di Milano Bicocca, tuttora in atto, sono significativi: i consumi energetici sono stati valutati in 16.600 t CO2eq per l’anno 2013; e in 15.700 t CO2eq per l’anno 2015, con una riduzione nelle emissioni di CO2eq di 5,4%.
Questo risultato è stato ottenuto senza la messa in atto di interventi strutturali, ma dando indicazioni comportamentali ai dipendenti. Questo risultato sottolinea l’importanza della partecipazione personale.
Nel 2014 la gestione dei rifiuti arrivava a una raccolta differenziata limitata al 25%, con emissione di 104 t di CO2eq. Il nuovo sistema di raccolta, attivato nel 2015, ha portato a una raccolta del 70%, con una corrispondente emissione di 54 t di CO2eq e quindi con un contenimento nelle emissioni del 45%.
È stato affrontato anche il problema inerente l’erogazione dell’acqua di rete per limitare la produzione di rifiuti plastici e stimolare gli utenti all’utilizzo dell’acqua di rete secondo una nuova modalità.
L’Università ha installato nei propri edifici erogatori d’acqua di rete e distribuito agli studenti e al personale bottigliette d’acciaio, in modo da consentire il prelievo d’acqua. I risultati ottenuti sono significativi: in un anno sono stati erogati circa 190 mila litri d’acqua ed evitato l’uso di circa 380.000 bottigliette di plastica, con un risparmio di 14.000 kg CO2eq. Questa è la quantità emessa da un’auto che percorre 20 mila km; o da un aereo che attua 16 voli Milano-New York a/r.
Emissioni significative sono correlate alla mobilità del personale: gli spostamenti casa-lavoro con i mezzi di trasporto utilizzati generano 2.200 t CO2eq/anno. Un’auto emette circa 0,180 kg CO2eq / km, un treno 0,056 kg CO2eq / km per passeggero. I mezzi pubblici ripartiscono le emissioni tra i passeggeri, cosa che ovviamente non consente l’utilizzo del mezzo privato.
Quindi le iniziative messe in atto presso un Ente pubblico, quale è l’Università di Milano Bicocca, che ha tra gli obiettivi prioritari la «formazione», dimostrano che il contenimento nell’uso delle risorse e una riduzione nelle emissioni sono eventi possibili e facilmente realizzabili (Magatti et al., 2016). Risulta fondamentale il coinvolgimento del personale e degli studenti per l’attuazione di percorsi sostenibili.
In conclusione l’interesse per un futuro «sostenibile» deve essere prioritario per ogni persona, quindi l’attenzione alle nostre esigenze personali deve essere spostata a un uso condivisibile delle risorse disponibili per non comprometterne un uso futuro.
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Marina Camatini
(Presidente del centro di Ricerca POLARIS, Università degli Studi di Milano Bicocca)
Indicazioni bibliografiche
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