Com’è stato ampiamente riportato, l’Istat ha aggiornato in meglio le previsioni di crescita dell’Italia nel 2017 sia nell’andamento congiunturale (rispetto al periodo immediatamente precedente), sia nell’andamento tendenziale (rispetto all’anno prima). Sono indicazioni incoraggianti, ma niente più di questo, perché nonostante i progressi – constanti, ma lenti – restiamo il fanalino di coda dell’Europa e non siamo stati ancora capaci di recuperare le posizioni perdute dallo scoppiare della crisi, dieci anni fa, a oggi.
Dunque, bene per l’avanzamento e male per la sua velocità: di questo passo, infatti, i nostri coinquilini dell’Unione allungheranno la distanza col passare del tempo e noi ci ritroveremo a sgomitare nelle retrovie con Grecia e compagnia simile sciupando un patrimonio che fa invidia al mondo. Una prospettiva che non piace e che dobbiamo assolutamente scongiurare. Soprattutto considerando le potenzialità che teniamo represse e che potremmo invece esprimere se solo fossimo messi nella condizione di farlo.
L’Italia, insomma, cammina con il freno a mano tirato. I risultati positivi cui stiamo assistendo sono il frutto di sforzi enormi rallentati dal peso di una serie di zavorre di cui non riusciamo a liberarci. L’elenco è lungo e noto, ma non per questo va ignorato. Anzi, tutto dice che sia venuto il momento di osare l’osabile per far decollare un’economia che non aspetta che un vigoroso colpo d’acceleratore. Sgombrando il campo dai tanti ostacoli che l’ingombrano, frutto di un’anacronistica e non più sopportabile cultura anti-industriale.
Il contesto sarà favorevole ancora per un anno, forse due. Fin quando alla Bce sarà consentito di iniettare liquidità nel sistema mantenendo bassi i tassi d’interesse (circostanza fondamentale per i Paesi, come il nostro, ad alto debito pubblico) e rendendo competitivo l’euro nei confronti del dollaro che quando scende troppo mina la nostra capacità competitiva e depotenzia le nostre esportazioni: uno dei motori ai quali abbiamo affidato il nostro sviluppo. La finestra c’è, ma non resterà aperta per sempre. Dobbiamo affacciarci subito.
Naturalmente per raggiungere un obiettivo che resta sempre più semplice descrivere sulla carta che realizzare nei fatti occorre predisporre un piano organico, un programma a medio-lungo termine che tenga conto di tutte le variabili in gioco e si presenti in modo coordinato e strutturato. Ci vuole un’idea, la capacità di svilupparla, la determinazione a realizzarla. Non tanto e non solo per tentare un esercizio di abilità, quanto per determinare la possibilità di comunicarla in maniera comprensibile e convincente.
Quando l’America si risvegliò impaurita e depressa dopo il crollo del 1929 ebbe la fortuna d’incrociare la personalità di Franklin Delano Roosevelt che nel 1933, diventato presidente e dunque nel possesso delle leve del comando, capì che la reazione doveva essere anticonvenzionale e forte, tanto forte e anticonvenzionale da meritare sostegno e condivisione da tutti i soggetti che avrebbero avuto un ruolo nella catena delle responsabilità. E nacque il New Deal, un sogno a occhi aperti diventato realtà.