Ci pensate mai a come sarà dopo? A come ci ritroveremo tutti insieme in Paradiso? (escludo a priori la possibilità dell’inferno e persino del purgatorio e confido nell’infinita Misericordia di Dio).
L’idea dell’aldilà è quanto di più minaccioso ci sia per una fede consolatoria e comoda. Infatti quando si arriva a patti con il proprio immaginario, che sia la memoria dei cieli candidi e nuvolosi raffigurati nei vecchi catechismi per bambini o la spiaggia solarizzata e popolosa del finale proposto da Terrence Malick in The Tree of Life, si deve sempre mettere in conto la propria incapacità di definire il Mistero.
Quando cerco di immaginare la vita dopo la morte vengo sempre sopraffatta dall’ansia. E’ vertiginoso affacciarsi sul limite del non sperimentato e sapere che solo il passo più doloroso, la morte, ci porterà all’incontro con il Tutto o con la sempre insidiosa ipotesi del nulla. Per questo ascoltando ieri Papa Francesco, ho provato un moto di infinita gratitudine. Parlava della resurrezione. Non solo di quella di Gesù Cristo, ma anche della nostra. La resurrezione della carne. Ha affrontato insomma la verità meno semplice e ovvia da digerire, il mistero dei misteri. Nella sua breve catechesi ha sentenziato che “come Gesù è risorto con il suo corpo, ed è ritornato ad una vita terrena, così noi risorgeremo con i nostri corpi”, trasfigurati nella gloria. E ha aggiunto, “questa non è una bugia!”.
Sarà che spesso siamo tentati di interpretare le verità di fede come favolette suggestive, racconti placebo per anime tormentate, fiabe buone per spaventare o rassicurare il bambino che è in noi, ma sentirsi ripetere che la Resurrezione di Cristo non è una menzogna fa bene. Lo ha capito il Papa che ieri alla folla avvolta dal tiepido sole invernale, in piazza San Pietro, ha chiesto per bene tre volte “Ma voi credete che Gesù è vivo?”. Perché è tutta qui la questione: o Cristo è risorto ed è vivo e vegeto o saremo noi a dissolverci per l’eternità. Da una parte la vittoria dell’amore, dall’altra il vuoto. La cosa che mi piace di Francesco è che rende tutto semplice. O ci credi o non ci credi. O è vero o è falso. O sei cristiano o non lo sei. O è bianco o è nero. Logica binaria.
Resuscitare – ha spiegato – significa che il nostro corpo sarà riunito all’anima. Avremo il volto di bambini o quello segnato degli anziani, la cellulite o i muscoli scolpiti degli anni d’oro, capelli folti o crani lucidi? Non lo sappiamo. Ed è bello anche questo.
Ma Bergoglio ha aggiunto qualcosa a cui non avevo mai pensato: alla fine del mondo, quando arriverà la resurrezione di tutti, la trasformazione del nostro corpo sarà preparata dal rapporto che in vita avremo avuto con Gesù, attraverso i Sacramenti. Una specie di allenamento per la vita eterna. Il corpo sarà splendente per tutte le volte che ci saremo nutriti del corpo di Cristo, alimentati della sua carne e del suo sangue alla mensa eucaristica. La trasfigurazione nella Gloria si prepara già in questa nostra frammentata e incasinata esistenza, partecipando al banchetto in cui Cristo continua a consegnarsi a noi.
A me sono venuti i brividi. Abbiamo già un seme di resurrezione piantato nelle membra, il nostro corpo che quotidianamente scrutiamo nel suo inappellabile decadimento si rigenera per l’eternità. Per questo, ha detto Francesco, va rispettato. “Così come va rispettata e amata la vita di quanti soffrono” ha aggiunto. Concludendo la sua riflessione il Papa ha detto qualcosa che gli avevo già sentito dire, un saluto che spesso consegna a persone che sa che difficilmente potrà rivedere. “Saremo tutti insieme – non qui in piazza, da un’altra parte – ma gioiosi con Gesù”. Ecco il nostro destino, il finale infinito della nostra vita, la comunione dell’umanità risorta in Cristo Risorto. Da oggi in poi quando penserò al Paradiso mi verrà in mente il faccione di Bergoglio, tra le persone a cui voglio bene e quelle a cui non ne ho voluto abbastanza, tutti felici e sazi della presenza di Dio.