Il Consiglio dei ministri di ieri ha approvato il Documento di economia e finanza (Def) per il 2012. Al suo interno il governo mette nero su bianco le sue previsioni sui conti pubblici da trasmettere a Bruxelles, nelle quali conferma il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013. Questo, insieme alla revisione dell’articolo 81 della Costituzione approvata martedì, permetterà di rispettare il Fiscal Compact. Il merito va ricercato nell’aumento dell’avanzo primario, che nel 2015 arriverà al 5,7% del Pil, portando altresì il debito pubblico a scendere al 110,8% del Pil. Note dolenti si avranno sul Pil stesso, previsto in calo quest’anno dell’1,2% per tornare positivo nel 2013 (+0,5%). «È evidente – ci spiega Marco Fortis, economista vicepresidente della Fondazione Edison – che il quadro tracciato dal Def è coerente con gli impegni presi con l’Europa. Qualcuno potrà dire che il Fondo monetario internazionale ha dato martedì indicazioni diverse e che nel 2013 ci sarà un deficit dell’1,5%. Ma è anche vero che le previsioni di Washington non sempre si sono rivelate azzeccate. In ogni caso, anche ipotizzando che non siano corretti gli scenari del Def, ma solo quelli del Fiscal monitor del Fmi, l’Italia raggiungerebbe un risultato molto importante».
Quale?
Non ci saranno altri paesi avanzanti al mondo, con l’esclusione di Norvegia e Singapore (che storicamente vi riescono), ad avere quest’anno un avanzo primario del 3% del Pil. La Germania arriverà infatti all’1%, mentre gli altri saranno tutti in disavanzo. L’anno prossimo poi lo porteremo al 4%, mentre la Germania si fermerà all’1,3%. Addirittura il saldo del nostro indebitamento netto strutturale sarà positivo dello 0,6%. Questo vuol dire che gli italiani stanno facendo un mare di sacrifici per rispettare gli impegni, in ossequio ai dettami dell’Europa germanocentrica. E se li rispetteremo potremmo anche a un certo punto metterli in discussione.
In che senso?
Siamo la prova vivente che la filosofia tedesca dell’austerità, se applicata esageratamente, non produce risultati. Ma siamo anche un Paese capace di fare quel che la Germania chiede, a differenza degli altri. Questa è una cosa che il governo dovrebbe far sapere: la Germania chiede sacrifici, ma c’è un solo Paese che è in grado di farli. Proprio per questo credo che se queste regole dovessero rivelarsi inadeguate rispetto all’obiettivo di uscire dalla crisi, cioè ridurre gli squilibri delle finanze, possibilmente senza uccidere l’economia, se questa cura dovesse rivelarsi fallimentare, allora potremmo rispedirla al mittente chiedendo di cambiarla. Alla fine questa linea richiede sacrifici, ma può rivelarsi vincente.
Resta però il fatto che ci sono sacrifici notevoli da fare.
Questi sacrifici dovremo comunque farli: i mercati non accetterebbero sicuramente un’Italia che non mettesse in ordine i suoi conti. Certo, è vero che questo non farà crescere il Pil, ma i mercati dovrebbero capire che non si possono avere tassi di crescita quando si stanno chiedendo sacrifici così importanti ai propri cittadini per mettere in ordine i conti pubblici. Purtroppo l’Europa sta diventando il capro espiatorio di una crisi nata per ragioni a lei esogene: il problema greco non è certo paragonabile alla crisi dei titoli tossici americani.
Secondo lei, quando si arriverà alla “resa dei conti”, quando si potrà portare la Germania a cambiare linea?
Penso attraverso due eventi. Il primo è riguarda le elezioni tedesche. Dopo il voto non ci sarebbero più preoccupazioni circa la reazione dell’elettorato e la Germania potrebbe cominciare a preoccuparsi anche della crescita e non solo del rigore. Questo potrebbe avvenire attraverso gli Eurobond o soluzioni similari capaci di portare investimenti in Europa: la ripresa, infatti, non può passare attraverso i consumi, che sono ovunque asfittici. Nell’attesa ci sarebbe da superare una sorta di “via crucis”, un anno in cui si vedranno tanti sacrifici e pochi risultati.
E il secondo evento?
Stando ai dati del Fmi, l’Italia sarà l’unico Paese, oltre alla Germania, a rispettare il Fiscal Compact (peccato che i mercati non se ne accorgano). A un certo momento, quindi, il Trattato si rivelerà fallimentare. Non certo per colpa dell’Italia, ma della Francia, della Spagna, dell’Olanda e degli altri paesi che non si stanno adeguando. A quel punto se verrà disegnata una nuova strategia europea che incorpora più crescita e meno austerità, l’Italia avrà tutte le carte giuste per poter dire la sua, gli altri paesi no. Nel frattempo c’è una cosa importante che si potrebbe fare.
Quale?
Sarebbe cruciale che, in attesa del fallimento sul campo del Fiscal Compact o delle elezioni tedesche, il nostro governo mettesse in evidenza, con una comunicazione aggressiva, il valore di questi numeri che ci pongono davanti agli altri paesi europei. Stiamo rispettando una disciplina severa, in condizioni meno favorevoli della Germania. Eravamo partiti a novembre con una perdita secca di credibilità, abbiamo perso crescita con l’austerità che ci siamo imposti, ma stiamo recuperando credibilità attraverso i numeri. Dispiace solo che non vengano letti dai mercati.
(Lorenzo Torrisi)