Una rubrica per guidare i bambini della scuola primaria ad «accorgersi» della varietà dei fenomeni fisici presenti nella realtà quotidiana. Per dare soddisfazione a quella curiosità infantile, definita «sacra» da Albert Einstein e tipica dei grandi scienziati, ma che è spesso mortificata da approcci ludici o fantasiosi se non addirittura aridamente formalistici. Una sfida che l’autore ha raccolto, coniugando semplicità e rigore concettuale e linguistico. «Zio Albert» risponde a una domanda accattivante e diffusa tra i bambini: l’aria, invisibile e impalpabile, ha un peso?
E la risposta si costruisce osservando situazioni familiari e sperimentando.
Un caro saluto ai miei piccoli lettori. Questa volta vorrei parlarvi di un peso che tutti noi portiamo sulle spalle, ma senza rendercene conto: il peso… dell’aria. Proprio così, anche l’aria che respiriamo pesa e, se avete un po’ di pazienza, vi spiegherò come fare per rendervene conto.
Ma procediamo con ordine. La prima osservazione da fare riguarda la presenza dell’atmosfera terrestre. Come certamente saprete, il nostro pianeta è avvolto da uno strato di gas (l’aria che respiriamo) che chiamiamo atmosfera.
La sua presenza è molto importante, perché senza di essa la vita sulla Terra non sarebbe possibile. Sulla Luna, per esempio, non c’è atmosfera e di conseguenza neppure la vita. Ma, e questo è il punto, anche se leggeri, i gas dell’atmosfera hanno un peso, e questo peso grava su di noi. In pratica, è come se fossimo immersi in un mare d’aria (anziché d’acqua) e, trovandoci sul suo fondo, tutta l’aria che sta sopra di noi esercita sui nostri corpi una pressione.
La pressione
Per poter analizzare questa nostra condizione di «pesci d’aria» occorre perciò aver ben chiaro il concetto di pressione, in particolare quella esercitata da un fluido (sia l’aria sia l’acqua, infatti, sono dei fluidi, anche se con caratteristiche un po’ diverse).
Cosa si intende, allora, per pressione?
Per aiutarvi a capirlo mi servirò, come esempio, della signora Rosina, una mia amica non troppo magra (se dico che è grassa si offenderebbe!) che talvolta indossa delle comode scarpe da tennis e altre volte delle eleganti scarpe con i tacchi a spillo. E vi domando: se – incidentalmente, s’intende – la signora Rosina dovesse calpestarvi un piede, le conseguenze (dolorose) per voi sarebbero sempre le stesse, indipendentemente dal paio di scarpe da lei indossato?
È abbastanza evidente che qualche differenza ci deve pur essere nei due casi. A parte il fatto che le scarpe da tennis sono più morbide e quindi fanno meno male, esse esercitano sul suolo (e sul piede) calpestato una sollecitazione minore di quella provocata dalle altre scarpe.
Per rendersene conto è sufficiente guardare l’impronta lasciata dalle due calzature. Se il terreno è abbastanza soffice, infatti, l’impronta lasciata dalle scarpe con i tacchi a spillo è decisamente più marcata e visibile di quella lasciata dalle scarpe da tennis.
Il motivo è semplice. Poiché il peso della signora Rosina è sempre lo stesso, il vero responsabile della diversa sollecitazione del suolo (e del piede) calpestato è la forma delle scarpe. Quelle con i tacchi a spillo, infatti, hanno una superficie d’appoggio più piccola di quella delle scarpe da tennis, in particolare la parte del tacco.
Di conseguenza, quando le indossa, la Rosina concentra tutto il suo peso su una superficie più piccola e quindi esercita sul suolo (e sul vostro piede) una «spinta» maggiore… con le inevitabili conseguenze!
Generalizzando, possiamo affermare che quanto più piccola è la superficie d’appoggio di un corpo pesante, tanto maggiore è la forza che si concentra su quella regione.
Questo effetto viene espresso in Fisica col termine «pressione». Uno stesso peso, quindi, può esercitare pressioni diverse al variare della superficie d’appoggio. Per questo motivo i coltelli sono affilati e gli scalpelli appuntiti: con un piccolo sforzo si riesce, infatti, a ottenere un’elevata pressione sulla superficie da tagliare o modellare.
La pressione nei liquidi e nei gas
Ma come interpretare il concetto di pressione se il peso non è quello della signora Rosina (o di qualunque altro corpo rigido), ma quello di un liquido o un gas che non hanno una superficie d’appoggio ben definita ma «circondano» chi si trova immerso?
Per scoprirlo immaginiamo di inviare sott’acqua (o, se preferite, sott’aria) un sommozzatore dotato come unico strumento di misura di… un palloncino gonfiato con aria. Quello che osserva il nostro sub man mano scende a profondità sempre maggiori è che il palloncino si riduce di volume (cioè rimpicciolisce) mantenendo però pressoché inalterata la propria forma. La spiegazione di questo comportamento è abbastanza intuitiva.
All’aumentare della profondità, infatti, aumenta la colonna d’acqua che sta sopra il palloncino e lo schiaccia, e questo inevitabilmente provoca una diminuzione del suo volume. Ma attenzione, come è stato già sottolineato, il palloncino non si appiattisce sotto questo peso ma, pur rimpicciolendo, mantiene immutata la forma iniziale.
Questo significa che la pressione esercitata da un liquido o un gas non ha una direzione privilegiata (come dolorosamente ci si accorge quando la Rosina ci schiaccia un piede), ma si trasmette con la stessa intensità in tutte le direzioni.
A una certa profondità, quindi, la pressione è la stessa su tutti i punti della superficie del palloncino di prova.
La stessa cosa capita a noi che abbiamo sulla nostra testa tutto il peso dell’atmosfera terrestre. Che non è piccolo.
Lo scienziato italiano Evangelista Torricelli l’ha misurato, nel 1644, con un brillante esperimento (che per il momento non vi racconto) scoprendo che equivale a quello di una colonna di mercurio alta 76 centimetri o, equivalentemente, di una colonna d’acqua alta ben 10 metri!
In pratica, quindi, su tutti i punti del nostro corpo agisce una pressione pari a quella che sperimenteremmo, in assenza dell’atmosfera, stando sul fondo di una piscina profonda 10 metri colma d’acqua.
Esperimento
Per rendervene conto vi propongo un semplice esperimento. Sono sufficienti un bicchiere e un foglio di carta.
Primo passo
Riempi il bicchiere d’acqua fino all’orlo
Secondo passo
Appoggia il foglio di carta sul bicchiere
Terzo passo
Capovolgi rapidamente il bicchiere tenendo una mano appoggiata al foglio di carta, et voilà… se togli la mano, il foglio di carta rimane attaccato al bicchiere impedendo la fuoriuscita dell’acqua.
Spiegazione
La pressione atmosferica che, come abbiamo visto, si trasmette con la stessa intensità in tutte le direzioni (e quindi anche sotto il foglio di carta), mantiene il foglio di carta premuto contro il bicchiere impedendo così la fuoriuscita dell’acqua.
P.S.
Per sicurezza vi consiglio di effettuare l’esperimento sopra un lavandino per evitare spargimenti d’acqua nel caso qualcosa non andasse per il verso giusto.
Vai al PDF di questo articolo |
Vai alla Home-Page della Rivista | Chi Siamo | Vai al Sommario del n° 66 – Settembre 2017 |
Vai alla Sezione SCIENZ@SCUOLA | Vai agli SPECIALI della Rivista |
Sergio Musazzi (Ricercatore e divulgatore scientifico)© Pubblicato sul
n° 66 di Emmeciquadro