C’è un fenomeno in Italia che cresce nella quasi indifferenza dei media. E forse è un bene. Si tratta delle reti d’impresa che, nate nel 2010, in sette anni sono diventate quasi 4mila per oltre 19mila aziende coinvolte, 372mila addetti, 89 miliardi di fatturato e 20 di valore aggiunto. Al di là dei numeri, che pure sono più che interessanti, la particolarità sta nel fatto che queste aggregazioni aumentano ogni anno di più con una progressione inversamente proporzionale, si potrebbe dire, agli incentivi fissati dal legislatore per promuoverle.
In altre parole, gli imprenditori italiani – nella massima parte piccoli – decidono di mettersi insieme e di collaborare non tanto e non più per poter accedere a qualche finanziamento o beneficio fiscale, ma proprio perché riconoscono nel lavorare insieme un grande valore in sé. La rete d’impresa consente di diventare grandi restando padroni in casa propria. Si può prendere parte a progetti impegnativi facendo massa critica con gli altri associati, condividendo il disegno industriale e partecipandovi per il pezzo di propria competenza.
Insomma, questa invenzione era proprio quello che ci voleva per la dimensione e le caratteristiche del panorama imprenditoriale italiano formato da tanti soggetti gelosi della propria autonomia e tuttavia desiderosi di fare sempre di più e sempre meglio in Italia e all’estero. Non per niente, informa una ricerca, le imprese che decidono di formare questi raggruppamenti sono considerate tra le più dinamiche del sistema. In linea generale vuol dire che non scelgono di unirsi perché spinte dalla disperazione, ma proprio dall’interesse a fare corpo.
Sono imprese che vanno già bene, che hanno chiaro il senso di marcia e capiscono che per aumentare la velocità di crociera o per superare più facilmente gli ostacoli che trovano lungo il cammino devono raggiungere una massa critica che le aiuti a raggiungere l’obiettivo. Una volta riunite in rete, queste stesse imprese migliorano ulteriormente le proprie prestazioni allungando il passo rispetto alle concorrenti che restano isolate e da sole devono dunque affrontare le insidie del mercato in una competizione che si fa sempre più serrata.
Dal punto di vista geografico sono quattro i grandi poli nazionali che ruotano intorno a Milano, Firenze, Roma e all’asse Venezia-Bologna. Gli ultimi due con propaggini nel Mezzogiorno che è presente in proporzione alla popolazione imprenditoriale e dunque in misura ridotta.
Antonello Montante, che presiede RetImpresa, cioè l’organizzazione di Confindustria che si occupa dell’argomento, mette l’accento anche sulle implicazioni culturali del processo perché non era affatto scontato che si affermasse in maniera così larga uno spirito cooperativo nel Paese.
Se da cosa può nascere cosa, il passo successivo e conseguente riguarda il rafforzamento patrimoniale delle entità imprenditoriali e la loro evoluzione in termini finanziari per poter, una volta scavallata la crisi, guardare con maggiore fiducia a un futuro con troppi tratti d’incertezza.