Se la cerimonia che ha preceduto l’accensione delle luci che illumineranno permanentemente le splendide vetrate del Duomo di Milano poteva essere degna degli sfottò dell’ing. Gadda – con Pamela Villoresi (vecchia scuola strehleriana) impegnata allo spasimo a rovinare, sillaba dopo sillaba, il Vergine madre di Dante -, l’iniziativa assunta dalla Parrocchia del Duomo unitamente alla Veneranda Fabbrica del Duomo e dal Comune di Milano (Assessore Cadeo), dopo alcune riuscitissime prove generali negli anni e mesi scorsi, è di quelle, oggi abbastanza rare, che distinguono Milano da tutte le altre città del mondo, mettendo i milanesi di oggi a contatto con una storia straordinaria da cui spesso si sentono separati.
La rinascita di Milano dipende infatti essenzialmente dalla coscienza dei suoi abitanti (meneghini, cinesi o palermitani che siano) di appartenere a una storia eccezionale fatta di fede, di lavoro, di solidarietà e di vera tolleranza, che non è un atteggiamento che bisogna darsi, ma un frutto della conoscenza.
Nella sera non troppo fredda dell’Immacolata stando davanti alla Cattedrale potevamo ammirare il soffitto al neon di Lucio Fontana che spicca attraverso le finestre del neonato (ma dalla lunghissima gestazione) “Museo del Novecento”: una realizzazione di cui la città deve andare fiera, e che valorizza – tra l’altro – l’architettura dell’arengario, bollata per mezzo secolo come “brutta” (in quanto fascista, e per nessun’altra ragione) e finalmente rivalutata nella sua eccezionale funzionalità. Com’è già successo alcuni anni fa al Palazzo dell’Arte.
Si aveva l’impressione che a Milano qualcosa stesse davvero cambiando. Poi, le luci dietro le vetrate hanno cominciato ad accendersi e piano piano i disegni che le compongono sono emersi come parole dal silenzio. Allora ha cominciato a farsi chiaro per noi il senso di quel cambiamento.
Ci siamo messi a girare intorno all’immensa cattedrale, che è a mio parere l’edificio più bello che sia mai stato realizzato: una staffetta attraverso i secoli (dal XIV al XIX) di uomini diversi tra loro per formazione, mentalità, idee ma accomunati da un unico progetto, da un’unica determinazione. Quanti stili diversi, quante filosofie diverse, eppure che mirabile unità!
Se lo osservate in scorcio dalla piccola via Palazzo Reale, con la grande guglia che sale di sguincio, per un istante non riuscite a capire come tanta delicatezza di trine possa convivere con un’impressione di forza, di invincibilità, come di una montagna una dolomite…
Si sono accese tutte le vetrate, che raccontano tutte le storie della Bibbia, dalla vita di Gesù al Giudizio Universale. Le più belle sono quelle sul fianco destro (guardando la facciata), alcune delle quali sono opera del Foppa, e quelle – impressionanti – dell’abside. Un amico mi ha fatto notare (io purtroppo non ho la vista così buona) che le scritte sotto le formelle dell’abside sono rivolte all’esterno. Come dire: la Chiesa non parla a sé stessa, non ha ricevuto il dono dello Spirito per sé stessa.
Allo stesso modo, le nostre opere cominciano a parlare solo quando trasmettono ciò che hanno ricevuto. Nessuno può donare se non quello che gli è stato donato. Crediamo o non crediamo in Dio, noi siamo in ogni caso l’opera di un altro: se non sarà Dio, sarà il denaro, il potere, l’ambizione.
Tutto questo accade a Milano: qui sta forza speciale di questa città. A Milano, grande città post-moderna, è ancora possibile che tutta la città – chi per curiosità, chi perché passa di lì, chi per vera fede – si raccolga nella Piazza del Duomo per celebrare un evento come questo. È possibile partecipare a una preghiera pubblica, ascoltare l’inno di Dante alla Vergine (che è la dedicatarie di tutte le grandi cattedrali). Ve l’immaginate, voi, una cosa del genere a Parigi, a Londra, a New York?
Grazie a questa illuminazione, ciascuno dei presenti ha avuto la possibilità di riconnettersi con tutta la storia di questa straordinaria città: con la sua forza, con la sua capacità di pensare in grande, con la sua inesauribile speranza.
Milano in realtà è piena di luoghi segreti, di soglie varcate le quali sembra di tornare in altre epoche della sua storia. Questo evento ci ricorda che la connessione con la storia non è però solo una cosa per curiosi, o per fissati, ma una dimensione fondamentale della città e della sua presenza nel mondo.