Due appuntamenti hanno segnato una settimana particolarmente importante per l’industria europea. E già poter parlare di industria europea come entità a sé stante è una novità di cui tener conto, perché finora i nazionalismi hanno avuto la meglio sulle volontà di cooperare nonostante il ruolo unificante degli organismi internazionali.
Per cominciare l’ambasciata italiana a Berlino, guidata da un diplomatico attivo come Pietro Benassi, ha organizzato una giornata di incontri sull’innovazione tra imprese, centri di ricerca e amministratori pubblici dei due Paesi – Italia e Germania – nel corso della quale si sono rafforzate vecchie alleanze e soprattutto intessute di nuove. Per l’occasione i presidenti delle rispettive Confindustrie, Vincenzo Boccia e Dieter Kempf, hanno pubblicamente sottoscritto il Manifesto di Bolzano contenente una serie di prescrizioni comuni, come la trasformazione digitale delle due principali manifatture dell’Unione, di cui i governi dovranno tener conto nelle loro politiche.
Un gesto di amicizia e collaborazione che viene da lontano e che offre l’immagine di un’industria al centro dell’auspicata rivitalizzazione del sogno europeo infranto dai troppi egoismi delle élite e recuperabile soltanto se si sarà capaci di offrire più benessere alle popolazioni e soprattutto un progetto di vita per i giovani. Il lavoro e la crescita, dunque, diventano il motivo dominante di una strategia che ha conquistato il cuore dell’Europa industriale. E che ora, questo l’auspicio, dovrà allargarsi in ogni direzione perché la risposta ai problemi sia convinta e collettiva anche per contrastare le finte soluzioni dei populismi che promettono tutto a tutti.
A Tallin, capitale dell’Estonia, si sono poi incontrati i presidenti di tutte le Confindustrie dell’Unione – riunite nell’organismo che prende il nome di Business Europe sotto la guida di Emma Marcegaglia – per concordare un rafforzamento dell’organismo e darsi nuove regole d’ingaggio. Anche questa è una decisione che va nel verso di una maggiore integrazione tra i rappresentanti delle imprese europee. E la circostanza non è marginale se si considera che cade in un momento di particolare debolezza della politica che non riesce a esprimere governi forti e certezze perfino in casa della potente Germania.
L’industria, allora, con i suoi valori e la consapevolezza che nel mondo si sta giocando una partita senza esclusione di colpi per la conquista di vecchi e nuovi mercati, detta le sue regole. Ed è un’industria che sa di poter affermare le proprie ragioni solo se diventa inclusiva: soluzione di problemi e non origine. La scala della competizione è ormai globale. Ed è quindi un’illusione poter sciogliere i nodi che rallentano la crescita economica agendo all’interno delle singole nazioni. Bisogna crescere di taglia per essere all’altezza dei compiti che ci si propone di svolgere anche per fronteggiare le ambizioni di colossi come Usa, Russia, Cina.
Il cambio di metodo che si sta verificando, un’accresciuta responsabilità del mondo della produzione o almeno di chi lo rappresenta, un gioco di squadra dove non è garantita l’unanimità di vedute ma almeno la voglia di compiere un percorso insieme, sono novità che potrebbero incidere non poco nel disegno del futuro.