Qualunque dibattito su Expo non può prescindere da un nome, Beppe Sala. Da domenica 7 febbraio candidato alla successione di Giuliano Pisapia per guidare il Comune di Milano. Veste che ricopre contemporaneamente insieme a quella di commissario unico del governo per l’esposizione universale e amministratore delegato della società pubblica-partecipata Expo 2015 Spa. In sostanza Giuseppe Sala vigila e monitora la corretta organizzazione (e smantellamento) dell’esposizione universale ed esercita poteri di ordinanza in deroga alla legge, ma al tempo stesso è titolare di poteri di governo strategico e gestione dell’evento. Controllore e controllato coincidono. Così, per esempio, Sala ha potuto esercitare poteri speciali derogando al codice degli appalti come commissario e come gestore della società organizzatrice ha affidato appalti, stipulato contratti, firmato accordi e assunto personale.
Prima di ogni illazione giornalistica o congetture para-giustizialiste (che non appassionano chi scrive), il problema che l’ufficializzazione della candidatura a sindaco di Giuseppe Sala porta con sé è di natura squisitamente politica. Attiene, cioè, a quella commistione tra poteri di indirizzo e poteri di gestione che sottende il capovolgimento di un principio che sta alla base della nostra organizzazione pubblica, quella per cui “i pubblici uffici sono organizzati […] in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” (art. 97 della Costituzione).
Passi l’aver acconsentito al Pd di tenere sul sito di Expo la propria direzione nazionale dello scorso luglio, ma concentrare nelle stesse mani il ruolo di controllore statale, controllato e candidato sindaco del secondo ente contributore della società pubblica-partecipata è qualcosa che pone una difficoltà enorme rispetto al corretto funzionamento delle istituzioni. Figurarsi se dal prossimo giugno il candidato ufficiale del centrosinistra dovesse ricoprire anche il ruolo di sindaco della Città metropolitana di Milano che, in quanto ex provincia, è in debito con la società Expo 2015 per 7,4 milioni di euro. Nella relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria della società amministrata da Beppe Sala per l’esercizio 2013 si leggeva: “Particolare rilievo è da attribuire al già accennato caso della Provincia di Milano che, […], ha dichiarato […] l’intenzione di diminuire la propria quota societaria, anche in relazione alla prevista soppressione delle Province” (p. 170).
I giudici contabili hanno certificato insomma che sul mancato contributo dei soci fondatori di Expo 2015 Spa pesano le riforme del governo Renzi che hanno finito per svuotare le province di competenze e relative risorse proprie (il 36% delle quali vanno a coprire il bonus degli 80 euro). Per quel che riguarda, poi, gli investimenti del Comune, 159 milioni a partire dalla costituzione della società, ciò che Palazzo Marino raccoglie è davvero modesto: nel 2015 il bilancio incassa solo cinque milioni in più dalla tassa di soggiorno rispetto al 2014. Questi dati aprono interrogativi proprio sulla gestione dell’evento e sul fatto che la politica dei biglietti venduti a 5 euro (che costituiscono il 20% del totale dei ricavi da ingressi), promossa ancora prima dell’inizio della manifestazione, forse più che attirare stranieri ha avuto l’unico effetto di spostare i milanesi e la movida dalle tradizionali zone della città al sito espositivo.
Solo che su tutto questo è vietato riflettere. È difficile trovare anche a Palazzo Marino osservatori veramente liberi in grado di porre certe domande. E si capisce perché: proprio per quella commistione tra poteri di indirizzo politico, quelli di gestione e l’ostentata appartenenza partitica. Quella stessa persona che oggi, in qualità di Ad chiamato a chiudere il bilancio della società, dovrebbe chiedere conto a Renzi dei mancati contributi della provincia, è la stessa che rappresenta l’esecutivo nella veste di commissario ed è candidata di quel Partito democratico che governa a Roma e a Milano. Senza considerare che tra i principali promoter di Beppe Sala c’è pure Davide Corritore, ex consigliere comunale del Pd e oggi presidente di MM Spa, la società in house del Comune affidataria diretta di servizi sul sito espositivo. “In proposito, la Corte dei Conti non ha mancato di sottolineare, […], la necessità di un costante monitoraggio delle procedure in deroga e dell’effettivo rispetto, comunque, dei principi generali dell’ordinamento. Non può evidenziarsi, in ogni caso, l’incidenza di tali fattori (impianto derogatorio, da un lato, e utilizzo dell’in house in providing, dall’altro) sulla distorsione delle ordinarie regole della concorrenza, di matrice comunitaria” (pp. 20-21).
Anche questo è l’effetto distorto del Partito della Nazione, un mostro politico che finisce per sciogliere la società, le istituzioni e il mercato all’interno del proprio organigramma.