Un sound giovane che riporta alla luce colori, immagini e sensazioni che sanno di New Orleans o, per dirla con altre parole, di jazz. Raphael Gualazzi, classe 1981 e vincitore di Sanremo giovani, con il suo aspetto timido e impacciato rappresenta oggi il presente e il futuro di questo genere musicale, italiano e internazionale. In procinto di affermarsi con un tour estivo per tutta Europa, il giovane urbinate ha presentato il suo primo cd “Reality and fantasy” presso la Feltrinelli di via Appia, a Roma.
Sotto la scritta stampata sul muro a caratteri cubitali “Cultura: l’urlo dell’uomo in faccia al suo destino” (A. Camus), il pianoforte di Raphael ha suonato sotto le dita di questo giovane artista, che nonostante la sua goffaggine davanti al pubblico, mostra di non temer il confronto con questo strumento e la sua tradizione “Beh, quello che cerco di fare, è portare in auge una tradizione, quella jazzistica, che costituisce la tradizione di quello che sono tutti i generi musicali moderni. Questo è quello che tento di fare, di portare alla sua originaria popolarità il genere jazz.”
Credi che nel panorama manchi il jazz? Che ci sia bisogno di questa musica?
Spero più che altro che questa possa essere una musica piacevole, gradevole per le persone. Tanti prima di me e tanti dopo di me hanno già intrapreso questa strada magari inconsciamente, da Cammariere, a Stefano Di Battista. E tanti spero che lo faranno. Con questo lavoro che si chiama Reality and fantasy fondo la tradizione del jazz popolare fondendolo con sonorità moderne della musica come il funk, il soul, il rithm’n blues. Attraverso questi canali spero che il jazz possa tornare al cuore delle persone.
Come ha cominciato a piacerti questa musica?
E’ nata dal fatto che il jazz che suono io, rappresenta lo straight piano, rappresenta l’assimilazione del bagaglio culturale pianistico europeo al costume afroamericano. Significa che la questione piano rappresenta questa assimilazione. Questo genere è per me il modo migliore che ho trovato per esprimermi con questo strumento.
Nel campo internazionale, mi piace Steve Wonder, John Guitar Woods, classici imprescindibili come Come a rain or come a shine di Frank Sinatra. Come classico citerei Aleksandr Skrjabin che ha composto preludi e studi bellissimi. Ma forse prima di lui sono da ascoltare un po’ di Chopin e Liszt.
Quali sono i momenti della giornata che ti ispirano, che ti fanno venire voglia di mettere le mani sul piano e suonare il jazz?
Generalmente durante il soundcheck. Ogni luogo ha i suoi colori, i suoi sapori, suona in maniera diversa. Può nascere un arrangiamento, una melodia. Una melodia nasce da una sensazione. Per esempio, Sarò sarai è nata durante un soundcheck in Umbria, guardando il tramonto sulla darsena del lago.
E se gli chiedi a quale brano è più affezionato, Raphael rimane chiaramente interdetto, prima di sorridere ed ammettere con un filo di voce: “È difficile da dire. È come chiedere qual è il colore preferito quando ti piace la luce, ma anche il buio. Sono i tasti bianchi e neri del pianoforte.”
(Caterina Gatti)