Il Governo continua a procedere alla stesura del decreto sviluppo e, stando alle ultime bozze, tra le misure a sostegno delle imprese ci sarebbe un credito di imposta (pari al 30% dell’importo) per gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo di almeno 50.000 euro l’anno, con un tetto al credito pari a 600.000 euro per esercizio fiscale. Di per sé il provvedimento sembra ottimo e rispondente alla richiesta del neopresidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, di incentivare l’innovazione delle imprese. Tuttavia, all’atto pratico si riscontrano alcune criticità, come ci spiega Giovanni Marseguerra, Professore di Economia politica all’Università Cattolica di Milano: «L’idea di un credito d’imposta per le spese in ricerca sviluppo è positiva, perché rientra nell’ambito della fiscalità di scopo che premia chi innova e incentiva. Basti pensare che tra queste spese sono contemplate l’assunzione di personale qualificato o gli investimenti in strumenti di laboratorio: cose molto importanti per le imprese. Ci sono, però delle limitazioni di concreta applicazione. Quella principale è che la soglia di almeno 50.000 euro per godere del beneficio fiscale è molto alta. Una ricerca di Fondazione Impresa condotta nel 2011 dice infatti che più della metà delle Pmi ha sostenuto costi per l’innovazione principale per meno di 10.000 euro e che solamente il 22,2% di esse ha speso oltre 50.000 euro. E non ci si può aspettare che le cose possano andare meglio quest’anno. Ho quindi l’impressione che questo provvedimento possa in realtà essere di utilità soltanto per le imprese medio-grandi, non per tutte».
Ma non è tutto, perché «pur essendo questo un provvedimento che, se approvato, avrà carattere strutturale, lo stanziamento complessivo ammonterebbe a 550 milioni di euro l’anno, sempre che il Tesoro e la Ragioneria Generale dello Stato non abbiano nulla in contrario: si tratta di una cifra molto bassa».
Marseguerra ci spiega a questo punto quale strada bisognerebbe percorrere per finanziare la ricerca e lo sviluppo delle imprese: «Utilizzare i fondi dell’Ue. Esiste, in particolare, il programma Horizon 2020 che vale 80 miliardi di euro: mettendo in piedi collaborazioni tra atenei, imprese e centri di ricerca c’è la possibilità di attrarre di 800-900 milioni l’anno. In passato, l’Italia non ha certo brillato nell’utilizzo dei fondi europei, ma si può far tesoro degli errori del passato per non ripeterli».
Purtroppo questa “disattenzione” del Governo non sembra la prima per quel che riguarda i provvedimenti nei confronti delle imprese. Marseguerra ci ricorda infatti che nei decreti per sbloccare i crediti delle imprese verso la Pubblica amministrazione, c’è una norma che esclude «le regioni sottoposte a pieno di rientro, dove i debiti verso le imprese sono maggiori. Senza dimenticare che i costi e gli oneri per la certificazione dei crediti sono a carico delle imprese».
Un atteggiamento che di certo non aiuta il mondo imprenditoriale già in crisi: «Le imprese stanno facendo sforzi per resistere sui mercati internazionali, nonostante il peso delle tasse e la difficoltà di accesso al credito. E le proposte per aiutarle sono ancora piuttosto deboli. Non ci si rende conto che chi sta tenendo in piedi il Paese sono le imprese e non aiutarle in questo momento è una follia».
(Lorenzo Torrisi)