L’ultima nota mensile emessa dall’Istat, relativa al mese di dicembre, offre l’opportunità di svolgere alcune considerazioni di fine anno che potrebbero riuscire utili come base per l’apertura del nuovo. La fiducia prima di tutto. Che si mantiene elevata, assicura la nota, sia tra le imprese che tra i consumatori. È la risorsa più preziosa per un’economia che vuole invertire la rotta e mettersi al bello per lungo tempo. La fiducia fa gettare il cuore al di là dell’ostacolo e rende possibili le imprese più difficili. Averla conquistata è un risultato che non va sprecato.
Di chi è il merito o di che cosa? Certamente della produzione industriale che continua a crescere anche se in maniera meno brillante rispetto ad altri Paesi. Una circostanza che spinge sempre più persone a uscire dal limbo degli inattivi per mettersi in gioco e alimentare il serbatoio della disoccupazione ufficiale il cui livello, nonostante i posti di lavoro aumentino, si mantiene quindi elevato.
Si capisce da diversi segnali che siamo a un punto critico. In particolare, per l’avvicinarsi delle elezioni dopo che il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha sciolto le Camere fissando nel 4 marzo la data ufficiale per il voto. È infatti noto che lo spirito di Winston Churchill – che nel momento del bisogno prospettava al popolo inglese lacrime e sangue – non abiti nella nostra Penisola dove fa più simpatia e raccoglie più preferenze chi promette quello che non può mantenere. Siamo il Bel Paese, quello dello Stellone che alla fine aggiusta ogni cosa. Perché preoccuparsi prima del tempo?
L’impressione è che si vada sfaldando lo stesso fronte riformista che prima ha creato le condizioni per la ripresa e ora si ritrova prigioniero della paura di lasciare troppo spazio all’avversario di sempre, il blocco massimalista (qualcuno adesso dice populista) con la sua splendida irresponsabilità. È un atteggiamento pericoloso che rischia di provocare molti più danni di quanti si propone di evitare. Quello che infatti manca in Italia è proprio una salda e sicura forza modernizzatrice che abbia il coraggio delle proprie azioni e si rifiuti d’inseguire l’avversario sul terreno insidioso della propaganda.
Il Jobs Act e gli altri provvedimenti per la competitività delle imprese meritano di essere difesi e rilanciati con orgoglio invece che passare quasi come incidenti di percorso. E la sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre non può e non deve fiaccare volontà e capacità di azione. Tutt’altro. Una sconfitta subita per servire una buona causa va considerata una medaglia al valore piuttosto che un’onta da lavare a patto che ci si liberi dalla sensazione di vergogna e si abbia la consapevolezza del ruolo fondamentale che si è deciso di giocare.
L’Italia è come un pallone aerostatico che accenna a sollevarsi da terra facendo sobbalzare i cuori di chi vorrebbe avventurarsi nei cieli mentre c’è chi spaccia per sicurezza l’ancoraggio al suolo. C’è chi si affanna ad aggiungere zavorra e chi dovrebbe darsi da fare per liberarsene. Senza sensi di colpa, ma con l’animo sollevato di chi sa che sta facendo la cosa giusta.