Il ministro inglese per le Pari opportunità in una sua intervista rilasciata al Daily Telegraph raccomanda ai genitori di non fare apprezzamenti sulla bellezza dei propri figli. Piuttosto suggerisce loro di elogiarli per altre qualità, come per l’impegno nello studio, “per le capacità di fare un puzzle e per la curiosità nel fare domande”.
La preoccupazione di Ms Swinson è di sovrastimare l’aspetto fisico a discapito di altre qualità e doti ritenute più utili e costruttive. A supporto della sua tesi il ministro porta i dati di una ricerca condotta nel suo paese secondo la quale il 25% dei ragazzi di età compresa fra i 10 e i 15 anni è scontento del proprio aspetto e il 72% delle ragazze si occupa troppo del look delle celebrità.
Il tema sollevato dall’intervista e ripreso da molte testate internazionali non è banale e va affrontato superando lo scandalo immediato che in alcuni le dichiarazioni hanno suscitato. Ma allora non posso più dire a mia figlia che è bella?, si sono subito chiesti alcuni genitori.
La questione, interessante, merita di essere allargata. Essa è proprio relativa al predicato, sia nel senso grammaticale sia nel senso più lato, ossia relativamente a cosa si predica non ai ma dei bambini e dei ragazzi, figli, nipoti o amici che siano. I predicati fanno male ai più giovani, non solo quelli negativi come appare ovvio, ma anche quelli positivi; essi tendono a inchiodarli in posizioni da cui difficilmente riusciranno a smuoversi. Pensiamo a una ragazza cui viene ripetutamente detto di essere bella, sappiamo già che nel momento in cui comincerà a muoversi “da bella” sarà l’inizio di una storia franosa coi ragazzi. Lo stesso vale per il ragazzo simpatico, basta che inizi a comportarsi “da simpatico” in una compagnia che ne diventerà presto la macchietta. Va ancor peggio al bambino predicato costantemente di essere intelligente: rischia di diventare un insopportabile presuntuoso, spesso anche ignorante per il fatto che non lega l’apprendere al suo lavoro, ma a un presupposto. Molti di questi piccoli intelligenti sperimentano infatti dei fallimenti a scuola, luogo per eccellenza del lavoro.
Con i complimenti bisogna saperci fare: in eccesso e a sproposito fanno danni o, in misura minore, non sono semplicemente credibili, in difetto invece fanno mancare sostegno e incoraggiamento.
Non “sei bella”, ma “stai bene con questa pettinatura”.
Non “sei simpatico”, ma “che bella battuta hai fatto”.
Non “sei intelligente”, ma “sei stato bravo in questa interrogazione”.
Questi esempi mostrano lo spostamento da un piano ontologico – sei così – al piano dell’imputabilità, ossia ci hai messo del tuo, hai investito del lavoro personale per arrivare a questo risultato. C’è del merito che ti riconosco dandoti soddisfazione in questo.
Solo un accenno al fatto che ai bambini non piace affatto vivere in un ambiente in cui viene costantemente fatta la telecronaca delle loro vite, con continui commenti sulle loro prestazioni. Quanto alla preoccupazione che avverte il ministro circa l’angoscia che i giovani provano rispetto al proprio look, non possiamo darle torto. Spesso si tratta di un’angoscia trasmessa e generata proprio dai più grandi, che suggeriscono ai bambini un senso di mancanza e inadeguatezza di sé, in particolare rispetto a un modello irraggiungibile di figlio ideale. Resi così insicuri i piccoli spostano poi sul piano più vulnerabile e osservabile, quello dell’aspetto fisico, l’angoscia che deriva dall’essere stati messi in crisi nel loro pensiero.
La stima per i più giovani coincide sempre con l’apprezzamento per il loro pensiero che suggerisce iniziativa e intrapresa. Troviamo allora le parole, i modi e i tempi giusti per rendere pubblico tale apprezzamento, affinché anche i nostri complimenti risultino graziosi fattori di rilancio e non punti di inciampo futuri.