La Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, approvata dal Consiglio dei ministri del 30 settembre, è un documento complesso di 135 pagine, presentato in modo pregevole e differenziando graficamente le misure “in itinere” da quelle che rappresentano un “focus” per le decisioni di politica economica. Il documento va esaminato sotto tre punti di vista: a) l’analisi della situazione; b) le politiche proposte; c) il quadro che si prospetta per l’eurozona, soprattutto dopo il Consiglio direttivo della Bce tenuto a Napoli il 2 ottobre.
L’analisi della situazione attuale corrisponde a quella delle principali organizzazioni internazionali (Commissione europea, Fondo monetario internazionale, Ocse), dei 20 principali istituti internazionali privati di previsioni macro-economiche e dei maggiori istituti di ricerca italiani (Cer, Irs, Prometeia) operanti in questo campo. Siamo al sesto anno di una recessione contrassegnata da leggere indicazioni di ripresa spesso seguite da nuove contrazioni di produzione, valore aggiunto e consumi. Ciò caratterizza l’intera eurozona, anche se in Italia ha aspetti più severi della media dell’area dell’euro a ragione della fragilità di un tessuto imprenditoriale costituto in gran misura da piccole e medie imprese con elevato tasso di autofinanziamento e difficile accesso al credito.
La Notanon sottolinea adeguatamente, a mio avviso, come la situazione dell’eurozona, in particolare quella dell’Italia, dipenda in larga misura dalla politica economica e monetaria americana. Un fenomeno analogo si è verificato alla fine degli anni Novanta, ai tempi di quella che è stata chiamata “la crisi asiatica”. Da allora, i paesi asiatici si sono, almeno in parte, svincolati dalla politica economica americana applicando politiche di cambio flessibili. All’interno dell’eurozona ciò non è né fattibile, né concepibile.
Tuttavia, in generale l’eurozona potrà leggermente avvantaggiarsi dal leggero riallineamento del cambio tra euro e dollaro. Ciò avrà, però, effetti asimmetrici tra i vari paesi dell’area dell’euro a ragione delle differenze in composizione merceologica e direzioni del commercio. L’Italia, in breve, avrà vantaggi modesti a ragione di un intercambio fortemente orientato sugli altri Paesi dell’eurozona.
La dipendenza dalla politica economica e monetaria americana evidenzia, comunque, un elemento di incertezza sulle scelte di politica economica europea, e in particolare italiana, di cui la Notaavrebbe dovuto tenere maggiore conto delineando una risposta flessibile all’andamento del quadro internazionale (in specie al non inverosimile aumento, nei prossimi mesi, dei tassi d’interesse a medio e lungo termine negli Stati Uniti) e all’accentuarsi della riduzione dei prezzi nel resto dell’eurozona, e all’associato timore di una deflazione che aggravi ulteriormente la situazione dell’economia reale.
La Nota, poi, non esplicita come l’aggravio complessivo della pressione tributaria-contributiva negli ultimi tre anni sia stato uno degli elementi che ha smorzato i bagliori di ripresa e aggravato le ricadute in una recessione che minaccia di diventare deflazione. In breve, la Nota è molto benevolente, forse troppo, con le politiche degli ultimi anni. Soprattutto la parte propositiva, poiché non delinea né una strategia differente da quella degli ultimi tre anni, né una tattica che tenga conto degli elementi di incertezza provenienti dal resto del mondo (specialmente dagli Stati Uniti) sino al 30 settembre e negli ultimi giorni anche dall’interno dell’eurozona (con la decisione della Francia di non considerarsi vincolata al limite del 3% del Pil per l’indebitamento delle pubbliche amministrazioni e con la virtuale paralisi all’interno del Consiglio della Bce).
Non solo, le principali misure per la crescita sembrano essere un’estensione a una più vasta platea del “voucher” o “bonus” di 80 euro in busta paga da aumentare, per il settore privato, con un’ipotetico versamento di parte del Tfr al fine di favorire una crescita dei consumi. Sinora, le analisi anche econometriche rilevano che il “bonus” non ha avuto alcun effetto apprezzabile. L’operazione, peraltro non precisata, relativa al Tfr avrebbe implicazioni disastrose soprattutto per le piccole e medie imprese, nonché sulla previdenza integrativa, e i suoi ipotetici impatti sulla domanda aggregata sono quanto meno dubbi. Anche le speranze di rilanciare gli investimenti per infrastrutture con capitale privato sono in gran misura illusorie data la carenza di progetti pronti, come prova la scarsa utilizzazione del fondo per la progettazione creato nel lontano 1999.
Una strategia alternativa può essere caratterizzata da questi elementi:
1- una riduzione della pressione fiscale sul lavoro (Iperf) e sull’impresa (Irap) di circa 40 miliardi da attuarsi già nel 2015;
2- un taglio della spesa iniziando dai 20 miliardi individuati da Cottarelli e la sua équipe (che includeva la Ragioneria generale dello Stato) nella recente operazione di “revisione della spesa”;
3- un rilancio, nei limiti del fattibile, dell’investimento secondo le linee del documento di Chatham House Building Growth in Europe Innovative Financing for Infrastructure datato settembre 2014, dato che esiste notevole liquidità, specialmente presso le famiglie, alla ricerca di investimenti di lungo periodo. Sono i progetti pronti a far difetto, ma l’Italia ha capacità tecniche che, se mobilizzate, possono contribuire efficacemente alla bisogna.
Una strategia di questa natura porterebbe a superare, almeno temporaneamente, il vincolo relativo all’indebitamento delle pubbliche amministrazioni rispetto al Pil, ma avrebbe il vantaggio di riattivare la crescita, facendone diventare l’investimento il suo motore, e di avere un buon grado di flessibilità per rispondere a evoluzioni della politica economica e della situazione americana.