La scuola italiana è aperta alle innovazioni? Si direbbe di sì, guardando la diffusione che ha avuto la metodologia CLIL nell’arco di pochi anni, in tutti gli ordini di scuola.
Molti esperti hanno segnalato il rischio che la trasmissione di contenuti difficili, in una lingua diversa dalla lingua madre porti a semplificazioni eccessive e a un apprendimento prevalentemente mnemonico. E questo può essere grave nella scuola primaria e con le discipline scientifiche.
Come si scopre con un giro veloce in rete, si sperimenta «sul campo» proponendo contenuti complessi in una lingua poco conosciuta e usando un lessico specifico che spesso risulta equivoco.
Dunque attenzione: è importante imparare la lingua inglese, è importante comprendere quello che si studia, ma non sempre le due cose avvengono contemporaneamente.
Davanti a un piatto di lenticchie, aspettando la mezzanotte del 31 dicembre, un amico di vecchia data, che si occupa di scienza e che segue il dibattito sul CLIL per l’università (vedi anche la sentenza del Consiglio di Stato del 29 gennaio 2018), mi chiede a bruciapelo cosa penso del CLIL.
Volendo stare sulle generali rispondo che dipende da come viene praticato e consiglio la lettura di diversi articoli pubblicati su questa rivista. In realtà la richiesta è più precisa: non si capacita che nella quinta classe della primaria si possano proporre, direttamente in lingua inglese, contenuti di fisica importanti per la formazione del pensiero.
Ecco dunque alcune riflessioni e proposte che possono essere utili.
CLIL, apprendimento integrato di lingua e di contenuti
Con il DPR 15/03/2010, il MIUR ha lanciato il CLIL (Content and Language Integrated Learning), come metodologia per l’apprendimento di una lingua (L2, diversa dalla lingua madre) attraverso i contenuti di una disciplina non linguistica (DNL), ossia per «raggiungere simultaneamente gli obiettivi linguistici e quelli disciplinari».
Dunque gli insegnanti CLIL devono essere contemporaneamente degli specialisti di didattica disciplinare e degli esperti linguisti. E gli alunni devono apprendere i contenuti in una lingua che non posseggono come lingua materna.
Così, come sostiene Giovanni Gobber, Ordinario di Linguistica generale all’Università Cattolica di Milano, (vedi Emmeciquadro n. 48, marzo 2013) per permettere la comprensione degli studenti, l’insegnamento risulterebbe necessariamente superficiale e semplicistico.
Va da sé che la proposta di insegnare le scienze in lingua inglese sottende l’idea che la biologia, la fisica o la chimica, definite DNL, sono solo un aggregato di informazioni da mandare a memoria e non hanno valore formativo sul piano logico-argomentativo.
Ovvio che la comunicazione scientifica internazionale avviene in inglese, lingua che quindi è necessario conoscere e ben articolare. È altrettanto importante, come chiedono anche i genitori, che la formazione linguistica avvenga durante gli anni della scuola.
Tuttavia, nel mondo della scienza occorre ragionare e comprendere concetti formulati con un lessico specifico che, purtroppo, è differente nelle diverse lingue. Perciò non ritengo utile mescolare l’apprendimento della lingua (livello della comunicazione) e l’apprendimento dei contenuti (livello di comprensione) usando una lingua di cui ancora non si posseggono vocaboli e costrutti.
Numerosi interventi su Emmeciquadro (vedi Indicazioni Bibliografiche), un convegno sul tema organizzato dall’Associazione “Il rischio educativo” nel marzo 2015 e incontri di approfondimento svolti nell’ambito del gruppo di ricerca Educare insegnando della stessa Associazione rivolto a insegnanti di scienze della scuola primaria avevano messo in guardia dai rischi insiti nell’uso indiscriminato del CLIL.
A questo complesso di riflessioni faccio riferimento commentando gli esempi che seguono.
In scienze e alla scuola primaria
Per sgombrare il campo fin dall’inizio, chiarisco i termini della normativa sul CLIL.
A tutt’oggi (vedi: www.miur.gov.it/clil) «L’insegnamento di una disciplina in lingua straniera è obbligatorio nell’ultimo anno dei licei e istituti tecnici. Nei Licei Linguistici l’insegnamento è previsto a partire dalla classe terza in una lingua straniera e dalla classe quarta in un’altra lingua straniera.»
Tuttavia, in base all’autonomia didattica, molte scuole primarie statali, hanno attivato sperimentazioni «di contenuti veicolati in una lingua straniera» finanziate dal MIUR in base al DM n. 435/2015.
Nelle prime fasi del percorso scolastico, a fronte di contenuti disciplinari complessi, ma di alta potenzialità formativa, che chiedono un metodo sperimentale e un lessico specifico, è opportuno utilizzare direttamente, senza alcuna preparazione, la lingua inglese?
Lessico scientifico e contesto di senso
Facendo scienze alla scuola primaria l’insegnante accompagna il bambino alla scoperta dei fenomeni naturali, attraverso metodi e linguaggi che rinforzano le capacità logiche e aiutano la comprensione.
Purtroppo, i lessici specifici hanno caratteristiche diverse nelle diverse lingue. Così può capitare che il bambino incontri termini scientifici che esprimono un concetto, ma sono usate anche in altri sensi, sia nel lessico ordinario, sia in altri ambiti.
Per esempio quantity, letteralmente quantità, in fisica ha il significato di quantità misurabile e corrisponde all’italiano grandezza, mentre nel discorso quotidiano è una parola indeterminata e in matematica, soprattutto alla primaria, è usata con un significato specifico (denota un concetto ben) diverso. Perciò, studiando che force is a vector quantity, frase riportata su molte schede predisposte, il bambino rischia di imparare, fuori da un contesto di senso, parole che non servono per comprendere, ma per registrare informazioni da mandare a memoria.
Un altro esempio è la parola foundation, letteralmente fondamenta, che, in alcune schede, è usata per indicare che cosa sono gli atomi.
You can’t see atoms, but they make up everything around you […] even you! Atoms are the foundation of matter, which is everything that makes up the universe around us.
Perfino le Indicazioni Nazionali per i Licei pongono lo studio degli atomi nel secondo biennio della scuola superiore, proprio per la difficoltà di rendere “visibili” oggetti che non lo sono.
Forse il problema si semplifica se si usa la lingua inglese? Non sembra, anzi non si può risolvere il problema con una definizione che ancora una volta usa termini non univoci.
Altro sarebbe, come spesso si trova, studiare che gli atomi sono building blocks of matter, che ricorda la formulazione usata in italiano, oppure the atom is the smallest unit of matter; in questo caso l’equivoco linguistico sarebbe minore, anche se resta altamente discutibile la scelta dell’argomento.
Semplificare i contenuti?
Un capitolo della fisica tra i più complessi è quello che riguarda le forze.
Sia dal punto di vista della storia della scienza: Galileo, Newton, i principi della dinamica, eccetera. Sia dal punto di vista della didattica: la composizione delle forze, le leve, sono argomenti difficili anche per gli studi liceali.
Per esempio, in una formulazione italiana più semplice possibile, possiamo dire che la forza (force) è la grandezza fondamentale della meccanica newtoniana, centrale nel moto, legata all’accelerazione, e centrale nell’equilibrio del punto materiale e del corpo rigido; a essa è legato anche il concetto di pressione. Perciò, proporre alla scuola primaria lo studio delle forze è, anche in lingua italiana, un vero azzardo; in lingua inglese, per rendere un minimo comprensibile l’argomento, occorre semplificare moltissimo, come nella formulazione che segue.
Force is a push or pull upon an object resulting from the object’s interaction with another object. Force can make objects – start – stop – speed up – slow down – change the position – change the direction – change the shape –
Una semplificazione così può essere adeguata per iniziare, anche se forse sarebbe opportuno distinguere le forze che hanno un effetto dinamico da quelle che provocano semplicemente un cambiamento di forma.
Ma l’intuizione che una forza può compiere diverse azioni (spingere, tirare, comprimere, attrarre, eccetera) scatta anche se la lingua non è la lingua madre o di nuovo siamo di fronte a parole solo da memorizzare?
Inoltre, la parola direction in inglese indica sia la direzione sia il verso: una parola in inglese due in italiano. In che senso sarà usata qui?
Nell’immagine a sinistra sono usate più o meno le stesse parole, ma forse c’è almeno il tentativo di contestualizzare l’azione compiuta da una forza: agisce in una certa direzione, fa muovere un oggetto, lo fa fermare o cambiare direzione.
Permane invece l’equivoco sulla parola direction che, anzi, è usata una prima volta riferita alla forza, una seconda volta, anche se non esplicitamente, riferita all’effetto che provoca su un oggetto in movimento. Poi si introduce un termine, energy, dal significato non facile per spiegare la forza: che confusione!
La semplificazione spinta può portare, come nel caso che riporto sotto, a mistificare un concetto.
Succede anche insegnando scienze in italiano, ma qui la semplificazione è sia a livello dei contenuti, sia a livello linguistico e l’equivoco è ancora più facile.
Friction is the force between two surfaces. […] Friction also produces heat when two surfaces rub together. When you run in the playground, the soles of your shoes stop you slipping. Some shoes have patterned soles. This creates more friction. This is why trainers have non-slip soles. Surfaces like ice and metal have very little friction and is why ice skates have metal blades.
La parola inglese friction sta per l’italiano attrito, definizione intuibile. Ma l’attrito tra le lame dei pattini e il ghiaccio su cui scivolano è un fenomeno complesso e dipende dalla superficie di contatto tra lama e ghiaccio, per questo le lame sono affilate.
Non basta dire che ice and metal have very little friction, non si può sempre rinunciare a illustrare i fenomeni nella loro complessità e nella loro ricchezza di sfumature.
Le immagini sopra, anch’esse facilmente reperibili in rete, mostrano che, usando le stesse parole, si possono però esprimere contenuti non definitori, aperti a ulteriori precisazioni: l’intensità dell’attrito dipende dai materiali e l’immagine della ragazzina sui pattini suggerisce che su una superficie ghiacciata si scivola meglio, ma non semplifica con una motivazione riduttiva.
Tuttavia, nell’immagine a sinistra, la parola direction è usata evidentemente con il significato di verso: l’attrito dunque agisce nel verso opposto rispetto al verso del moto dell’oggetto. Non è una precisazione da fisico, ma un concetto chiave per capire le forze.
Usare schede prestampate?
In alcuni siti inglesi dedicati al CLIL leggiamo: Forces exist all around us all the time! Force is measured in NEWTON (N), force is a vector quantity. It has got magnitude and direction.
Che cos’è la forza, questa entità che esiste sempre attorno a noi? Si può misurare, ma che cosa è per il bambino il Newton, unità di misura?
Si può disegnare con una freccia, un vettore che has got magnitude and direction (non ha anche un verso?), ma quanti salti logici sarebbero importanti per capire la rappresentazione simbolica?
È vero che il concetto di grandezza vettoriale è difficile da comprendere anche per gli studenti liceali, ma non si può ridurre la comunicazione concettuale a un disegno. Probabilmente i bambini, intuitivamente, attribuiscono un significato alla parola direction, ma certamente non sono in grado di distinguere direzione e verso. Inoltre, il termine magnitude corrisponde all’italiano intensità: ancora una non corrispondenza tra lessici di lingue diverse.
Questi equivoci non sono chiariti neppure nelle rappresentazioni dei vettori reperibili in rete.
Nell’esempio a destra, in cui almeno si specifica la corrispondenza, in lingua inglese, tra magnitude e amount, termini entrambi usati per indicare un valore numerico, permane la parola direction con il doppio significato: cosa indica la freccia?
Nelle frasi a sinistra, invece, la parola magnitude viene fatta corrispondere alla length del vettore.
Ma il vettore può rappresentare una forza e una velocità e c’è corrispondenza con la lunghezza solo se il disegno è costruito in scala.
In altre parole, utilizzando schede in uso in paesi di lingua inglese, occorre scegliere con grande oculatezza e, comunque curare un minimo di adattamento alle strategie didattiche della scuola italiana.
Un altro esempio in questa direzione è lo studio del magnetismo.
I maestri esperti e capaci, se scelgono di affrontare questo tema, partono da esperimenti semplici con la calamita per fare percepire l’idea di una forza che agisce a distanza. Utilizzano un approccio pratico-sperimentale senza approfondire aspetti teorici inadeguati all’età dei bambini arrivando eventualmente a questa definizione: «il magnetismo è un fenomeno fisico che consiste nella proprietà di alcuni materiali (calamite naturali o artificiali) di attrarre e trattenere il ferro e i materiali ferromagnetici.»
Invece, i siti inglesi, propongono spesso disegni e schematizzazioni, come quello seguente, illustrati da didascalie che certo non aiutano a capire.
Cosa sono i magneti? Cosa sono i poli magnetici? Cosa sono quei baffetti scuri tra N e S? Nel riquadro 2 north-south indica, in italiano, un verso o una direzione?
Quindi cosa si comunica ai bambini? Una infarinatura di parole dal significato oscuro.
Con una aggravante, quando questa introduzione porta alla conclusione che la Terra è un enorme magnete e quindi ci si orienta con il magnetic compass, la bussola, ben diversa dal compasso richiamato per assonanza.
Scienza o magia?
C’è una serie di semplici esperimenti che, anche nelle scuole italiane, vengono eseguiti per mostrare l’esistenza di forze elettrostatiche, forze non contact.
Electrostatic force is produced by charged objects, which are non-conductors of electricity. This may be a plastic, glass or rubber. When a plastic ruler is rubbed with a dry, woolen cloth, the ruler becomes charged, it can attract small pieces of paper that are not charged.
Ammettiamo pure che in una classe gruppi di bambini scoprano che, dopo essere stato strofinato con una sciarpa di lana, il loro righello di plastica è in grado di attirare piccoli pezzi di carta. Ma a che cosa corrispondono per un bambino di dieci anni le parole charged, non-conductors?
Che cosa mai vorrà dire che plastica, vetro o gomma, che sono oggetti carichi e non conduttori di elettrici producono una forza elettrostatica?
E che il righello di plastica quando diventa carico (di che?) attira piccoli pezzi di carta che non sono carichi.
Illustrato dal simpatico disegno riportato a destra, ecco un altro experiment: rubbing a balloon on hair transfers negative electrons from the hair to the balloon. As the balloon is removed, it pulls on the hair with an attractive electric force.
Lasciamo a parte il fatto che l’uso di un costrutto inglese in cui il soggetto è un participio presente in ing non è di immediata comprensione. Ma da dove saltano fuori questi negative electrons che l’azione del rubbing trasferisce dai capelli al pallone?
E come fa il pallone, mentre è allontanato, a sollevare i capelli con una forza elettrica di attrazione?
Come sa bene chi vuole fare scienza a scuola, un esperimento permette di raccogliere dei dati, che poi vengono spiegati.
Certamente un bambino vede i capelli che si rizzano, ma non può proprio dire che gli elettroni (negativi!) sono trasferiti dai capelli al pallone, né tantomeno che il pallone esercita una forza elettrica sui capelli.
Sorpresa! Un’azione tipica della scienza, sperimentare, diventa una magia. Come nell’esperimento in cui un pettine, negatively charged, carico negativamente, è attirato verso la POSITIVE force of the water e l’attrazione è abbastanza forte da deviare il flusso di acqua che esce dal rubinetto.
Ma il peggio si trova quando un righello, che si carica negativamente perché strofinato, induces una carica positiva sulla cannuccia. L’attrazione tra cannuccia e righello fa sì che la cannuccia segua il movimento del righello. Si fa cenno forse alla carica per induzione?
Esperti di lingua o di didattica? Quali argomenti?
L’esperienza insegna che spesso i docenti di scuola primaria hanno una formazione umanistica e si aggiornano continuamente per «fare scienza» a scuola.
Come già accennato, il docente che usa la metodologia CLIL dovrebbe avere adeguate competenze sia linguistiche che disciplinari che, ovviamente, didattiche. Ora, un punto chiave delle Indicazioni Nazionali, e prima ancora una riflessione di buon senso, è che alla scuola primaria bisogna sempre far riferimento a esperienze concrete del bambino.
Perciò ci domandiamo con quale ratio alcune schede CLIL propongono lo studio degli atomi. Forse che la lingua inglese rende visibili gli atomi?
È vero che su alcuni sussidiari, e soprattutto su alcuni libri della secondaria di primo grado, si trovano disegni schematici della struttura dell’atomo in cui sono semplicemente elencate le particelle subatomiche: protoni, neutroni ed elettroni.
E che in rete, ma anche sui libri di testo delle superiori, il modello di atomo più diffuso è quello dell’immagine a sinistra, un modello «simil-planetario» che, in teoria, dovrebbe corrispondere al modello di Rutherford, ma che in realtà è più simile ai modelli successivi e, sbrigativamente, viene associato al nome di Bohr.
Facciamo finta che il docente CLIL abbia notevoli competenze linguistiche e didattiche.
Se propone ai bambini una scheda come quella che di seguito riassumo, certamente non ha competenze scientifiche, su un tema così importante, a cavallo tra fisica e chimica. Oppure ritiene che la struttura dell’atomo possa essere spiegata in termini ancora una volta semplicistici, in questo caso più che in altri descrittivi e neppure lontanamente sperimentabili concretamente.
Protoni e neutroni sono proprio nel nucleo. Attorno al nucleo gli elettroni si muovono continuamente molto velocemente, perché hanno some energy.
Neutrons have no charges. Protons are positively charged. Electrons are negatively charged. Electrons spin around the nucleus because opposite charges (negative charge electrons and positive charge protons) are attracted to each other, alike charges move away from each other.
Credo che qui si rintracci un nuovo esempio di semplificazione mistificante: gli elettroni girano intorno al nucleo perché cariche di segno opposto (elettroni carichi negativamente e protoni carichi positivamente) si attraggono l’un l’altro, cariche dello stesso segno si respingono.
Giustamente non è il caso di dire ai bambini che i fisici del primo Novecento, una volta scoperto che i protoni stavano al centro dell’atomo, hanno dovuto immaginare che gli elettroni si muovessero attorno al nucleo perché altrimenti sarebbero caduti sul nucleo. Ma neppure bisogna far credere che è tutto così semplice.
In altre parole, mi permetto di suggerire alle maestre che si imbattono in una scheda CLIL dedicata agli atomi, di voltare pagina senza rimorsi.
Che fare?
Ricordo che, secondo la normativa vigente, l’utilizzo della metodologia CLIL alla scuola primaria non è obbligatorio. Perciò un maestro deve prima di tutto fare i conti con i dati di realtà: chiedersi se vuole insegnare ai suoi scolari un metodo per conoscere, cioè per incontrare e capire dei contenuti, anche specifici. E qual è il percorso migliore per imparare a usare una lingua straniera come mezzo per comunicare o anche solo per recuperare informazioni sui libri o sul web?
So per esperienza che alla scuola primaria le scienze sono la materia più negletta (basta guardare i sussidiari) e che i docenti, anche quelli laureati, hanno il più delle volte una formazione umanistica quindi faticano a praticare un insegnamento scientifico. Perciò devono continuamente aggiornarsi.
Si aggiunga che l’insegnante di classe, quand’anche sapesse comunicare in una lingua straniera, spesso non ha competenze linguistiche approfondite, perciò dovrebbe seguire tutti i corsi di aggiornamento necessari per acquisire le competenze sia metodologico-didattiche sia linguistiche per il raggiungimento del livello C1 (QCER).
Analogamente, un insegnante di madre lingua dovrebbe aggiornarsi, seriamente e per lungo tempo, sulla didattica delle scienze in generale e sui contenuti disciplinari specifici ascrivibili purtroppo, nelle scienze della natura, a diversi campi di indagine.
Per limitare i danni, ossia per garantire in qualche modo un apprendimento corretto, almeno dei concetti disciplinari fondamentali, si può sviluppare un argomento prima in italiano e poi svolgere approfondimenti utilizzando testi originali in inglese.
È una strategia che è stata fruttuosamente messa in atto in alcune scuole superiori, come abbiamo documentato su questa rivista (vedi Indicazioni Bibliografiche).
Scorrendo i siti web italiani dedicati all’insegnamento delle scienze in lingua inglese sembra che queste notazioni siano condivise: i percorsi proposti sono molto semplici e prevalentemente di tipo descrittivo-linguistico; le schede relative a un argomento sono prevalentemente di tipo sintetico e segnalano alcune parole significative, accanto al loro significato in italiano.
Però attenzione, la maggior parte delle cosiddette «schede CLIL» è rivolta alla scuola superiore.
Anche i siti inglesi dedicati alla didattica delle scienze, for kids, propongono schede semplici, in cui spesso le parole sono utilizzate in giochi di carte, tipo memory come nell’esempio a sinistra, per addestrare all’uso di termini scientifici specifici.
Sul sito del giornalista inglese Graham Workman si può trovare un ampio elenco di Primary CLIL websites. Tra questi siti segnalo makemegenius.com, dedicato alla scuola primaria, che offre una raccolta di science-videos piuttosto interessanti su molti diversi argomenti.
I bambini della primaria spesso imparano la lingua inglese attraverso file audio o video predisposti. Anche i video o i file di argomento scientifico possono essere una risorsa, ma i bambini devono essere adeguatamente preparati, ossia devono avere già affrontato quel contenuto in lingua italiana.
Insomma, sapendo dove e come si vuole andare, si possono trovare in rete materiali utili, comunque da usare sempre con oculatezza e senza pensare che uno strumento o una tecnica possano sostituirsi all’azione formativa del docente.
Lo studio del mondo della Natura mette in moto, alla scuola primaria in modo graduale, ma senza sbavature, atteggiamenti propri della scienza. Quindi chiede ai bambini di ragionare per comprendere, di usare correttamente lessici anche altamente specifici, di fare attenzione nel descrivere a parole o rappresentare schematicamente i fenomeni. Ed è molto difficile raggiungere questi obiettivi attraverso una lingua diversa dalla lingua madre.
Nell’intervista pubblicata sul n° 58 – settembre 2015 di questa rivista, Luca Montecchi ha consigliato di cercare «soluzioni didattiche semplici e ragionevoli» alla luce di alcuni criteri fondamentali che ripropongo nella flessione particolare del fare scienza alla scuola primaria.
Come chiede il DM n. 6 del 16 aprile 2012, il docente CLIL dovrebbe avere alte competenze linguistiche, disciplinari e metodologico-didattiche e questo, come accennato, è un ostacolo non da poco, perché l’ambito scientifico ha una grandissima vastità di contenuti e di linguaggi.
Allora, se si vogliono attuare sperimentazioni di tipo CLIL, prima di tutto occorre circoscrivere, e limitare, il contenuto disciplinare. Tenendo poi conto che nell’arco della scuola primaria, il bambino impara poco a poco linguaggi e metodi della scienza, l’intervento in lingua inglese sembrerebbe eventualmente da riservare alle ultime classi.
In ogni caso, mi sembra assolutamente necessario che l’introduzione della lingua inglese nella trattazione di un argomento scientifico, debba essere preceduta dallo studio dello stesso argomento nella lingua madre e, alla scuola primaria, debba avere una articolazione prevalentemente lessicale, nella prospettiva della comunicazione tra popoli e linguaggi amici.
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Maria Cristina Speciani
(Giornalista pubblicista, già insegnante di Scienze Naturali al liceo scientifico, membro della Redazione di Emmeciquadro)
Indicazioni bibliografiche
Giovanni Gobber, Riflessioni sul progetto CLIL – Content and Language Integrated Learning, in Emmeciquadro n° 48 – marzo 2013
Maria Elisa Bergamaschini, I nodi del CLIL e l’urgenza di una assunzione critica. Intervista a Luca Montecchi, in: Emmeciquadro, n° 58 – settembre 2015
Barbara Chierichetti, Brunella Pisani, Breve storia del progetto CLIL per un dibattito critico e costruttivo, in Emmeciquadro n° 60 – marzo 2016
Marina Minoli, Michele Mazzanti, Elementi di didattica delle neuroscienze per attività bioenglish nel liceo scientifico, in Emmeciquadro n° 61 – luglio 2016
Alessandro Giostra, Le interazioni tra scienza e filosofia. Un percorso per il CLIL, in Emmeciquadro n° 66 – ottobre 2017.
© Pubblicato sul n° 68 di Emmeciquadro