GAFA. Vi dice niente questo acronimo? Nasconde quattro brand mondiali. Stiamo parlando di Google, Apple, Facebook e Amazon. Nella classifica 2014 dei best global brand di Interbrand hanno generato da soli un aumento di valore di 200 miliardi di dollari. Una cifra incredibile che nasconde realtà ancora più strabilianti. Apple (primo posto) ha raggiunto i 118,8 miliardi di dollari (+21%), Google (secondo posto) i 107,4 miliardi di dollari (+15%), Amazon (quindicesimo posto) i 29,4 miliardi di dollari (+25%) e Facebook (ventinovesimo posto) i 14,3 miliardi di dollari (+86%). Se ci concentriamo solo su Facebook, dobbiamo anche rilevare che, a fronte di un incremento spaventoso del valore del brand, la società consta a oggi di circa 7.000 dipendenti appena. Un plusvalore impressionante.
Quest’anno si celebrano i 40 anni di Interbrand e anche i 15 anni di questa speciale classifica che da diverso tempo ormai rientra nei due o tre studi più consultati dai CEO delle grandi aziende internazionali. Un ranking che si basa sui dati pubblicati da tutte le singole aziende e che vengono rielaborati e interpretati per tutti i player che operano su scala globale. Se scorriamo la classifica possiamo fare alcune considerazioni generali. “Innanzitutto – ha ricordato Manfredi Ricca, Managing director di Interbrand in Italia – dobbiamo notare come cinque brand dei primi dieci appartengano al mondo della tecnologia (Apple, Google, IBM, Microsoft, Samsung) proprio a indicare un preciso trend del mondo in cui viviamo”. Si tratta di marchi che sono stati capaci di far evolvere costantemente il loro business, reinventandosi continuamente.
Apple con il lancio dell’Apple watch (che avrà un forte impatto nel mondo della salute e del benessere) e, soprattutto, dei sistemi di pagamento online si sta posizionando come un’azienda leader non solo nei prodotti, ma anche nei servizi. Se torniamo ad Amazon, con lo smartphone e il sistema di rilevazione, identificazione e ordine online si appresta a cambiare il modo di fare acquisti dei clienti. Se prima si vedeva un oggetto, magari su un cartellone pubblicitario, si restava affascinati, poi ci si pensava e infine si andava in negozio per l’acquisto, ora tutto questo può avvenire nell’arco di pochi secondi con il proprio mobile. Basta fotografare il prodotto e ordinarlo. Viene annullato il tempo di riflessione e l’oggetto in poche ore o giorni arriva a casa.
Ma è anche interessante notare che ben tre brand automotive sono nei primi undici. Toyota (ottavo posto), Mercedes (decimo) e BMW (undicesimo) sono tutti in crescita. Perché? Semplice. Perché stanno ridefinendo il loro core business e, da produttori di auto, si stanno trasformando in offerenti di soluzioni e servizi di mobilità. Anche loro stanno reintepretando la loro mission per continuare a essere leader nel futuro. E lo stanno facendo con successo. Per quanto riguarda il comparto del lusso, è interessante notare come sia cambiato il significato stesso del termine.
Prescindendo dalle turbolenze che stanno colpendo Russia e Cina, siamo passati dal concetto di ostentazione a quello di consapevolezza, ovvero da una concezione puramente economica a una decisamente più intellettuale. Da questo punto di vista le case history di Gucci e Louis Vuitton, che hanno drasticamente cambiato il loro approccio al mercato in senso valoriale e qualitativo, sono esemplificative della capacità dei grandi marchi di proiettarsi in avanti anche quando il business funziona.
Per la prima volta entra in classifica un brand cinese. Si tratta del colosso tecnologico Huawei (novantaquattresimo posto con un valore di 4,3 miliardi di dollari) a testimonianza di un’economia che non solo assorbe grandi quantitativi di beni occidentali, ma che ormai si propone con i propri marchi sullo scenario internazionale.
E l’Italia? Soltanto due marchi nei primi cento. Gucci e Prada. La Ferrari esce dalla top cento, non tanto per demeriti suoi quanto per la crescita consistente degli altri. “Nel nostro Paese abbiamo perso la partita della tecnologia – ha ricordato Manfredi Ricca – e questo perché da tempo non investiamo più sulla ricerca e sull’istruzione. Se mi chiedete se sono i paesi a fare grandi i brand o i brand a fare grandi i paesi, non ho dubbi. È vera la seconda affermazione. Basti pensare a cosa hanno fatto le aziende tedesche per la Germania”.
Un’ultima riflessione merita quella che gli esperti chiamano “the age of you”, ovvero l’età dei brand nella quale ci immergeremo in futuro, dopo essere passati dalle tre precedenti dell’identità, del valore e dell’esperienza (quella attuale). Ci sono sempre molte discussioni sul tema dei big data. I big data ci sono perché ognuno di noi utilizza in modo importante e continuativo device, piattaforme e sistemi che tracciano la propria identità, gusti, preferenze. “I brand che vogliono essere leader nella ‘age of you’ – ha dichiarato Jez Frampton, Global CEO Interbrand – dovranno avere la capacità di riconoscere l’uomo nei dati, scoprire il lato genuino di ciascuno, e creare un’esperienza davvero personalizzata e curata”.
Nel mondo ci sono circa sette miliardi di individui. Le aziende che saranno capaci di dialogare con loro considerandoli dei brand, saranno i vincitori di domani.