Dall’Assemblea 2012 di Confcommercio arriva un allarme: il Presidente Carlo Sangalli ha infatti spiegato che i consumi delle famiglie italiane sono tornati ai livelli del 1998, mentre il Pil procapite ha fatto un balzo all’indietro fino al 1999. In buona sostanza, l’Italia si scopre più povera. «Questi balzi all’indietro – ci spiega Marco Fortis, economista e vicepresidente di Fondazione Edison – stanno riguardando un po’ tutte le economie avanzate, in particolare nel mondo occidentale. Nel complesso devo dire che quello dell’Italia non è stato in realtà così ampio».
Cosa intende dire Professore?
Circa tre mesi fa, l’Economist ha pubblicato il Proust Index, che oltre a Pil e consumi prende in considerazione la ricchezza delle famiglie, i prezzi delle case, i mercati azionari, i salari e il tasso di disoccupazione. Il risultato è che i tre paesi che sono andati meno indietro nel tempo sono Germania, Francia e Italia (tornata ai valori del 2005). L’Italia poi non è così povera. Sono altri i paesi che hanno distrutto la loro ricchezza: negli Usa quella delle famiglie è arretrata ai livelli del ’92. Nel caso italiano dobbiamo comunque ricordare che sui consumi pesa da anni un macigno: il mercato interno è fermo. E per un motivo molto semplice.
Quale?
Stiamo spremendo l’economia e le risorse delle famiglie da 20 anni per produrre gli avanzi primari, necessari a compensare gli interessi sul debito pubblico che ammontano al 4-5% del Pil. Siamo un Paese che sta cercando di mettere delle toppe alle “magagne” fatte prima del ’93, quando il Pil cresceva, ma attraverso il debito pubblico. Per farlo stiamo utilizzando le tasse. E sono quelle varate con la manovre di agosto e dicembre che stanno incidendo in maniera molto seria sui consumi.
Come fa a esserne così certo?
Se guardiamo ai consumi delle famiglie nei paesi dell’Ue, vediamo che fino alla fine del 2011, prima che scattassero le nuove tasse, l’Italia ha avuto una performance migliore non solo rispetto ai Piigs, ma anche ai paesi del nord Europa. Sul 2012 pesa quindi “l’effetto manovre”.
Sarebbe allora stato meglio evitare misure così forti sul lato fiscale.
Purtroppo, sono state manovre inevitabili: senza sarebbe saltato il bilancio dello Stato, rischiavamo il default. I mercati ci hanno imposto questo sforzo. In assenza di capacità immediata di tagli sostanziosi della spesa (che non può essere ridotta oltre un certo livello), la pressione fiscale è l’unico strumento per cercare di colmare i buchi di bilancio. Certo, ora fa rabbia constatare che l’Italia, nonostante abbia fatto sacrifici, provocando persino una recessione per accontentare le richieste, non venga “premiata” dai mercati.
La pressione fiscale è però ormai arrivata a livelli insostenibili e, come ha ricordato Sangalli, sta diventando una pesante zavorra.
Come ha sostenuto anche la Corte dei Conti, di tasse ne stiamo pagando troppe: siamo arrivati al limite della sopportabilità. Questa accelerazione recente è stata frutto della necessità di coprire in tempi brevi delle esigenze di bilancio. L’alternativa dei tagli avrebbe avuto effetti comunque sui consumi: per esempio, lasciare a casa dei dipendenti pubblici vuol dire vedere aumentare il numero delle persone costrette a consumare di meno.
Secondo lei, si può sperare in un’inversione di tendenza, in un prossimo calo delle tasse?
Penso che nel breve periodo sia molto difficile: è già tanto se non aumenteranno ulteriormente. Se riusciremo a evitare l’aumento dell’Iva con la spending review, come sembra sia possibile fare, sarà già un miracolo. C’è poi da dire che gli atteggiamenti di rinuncia ai consumi sono diversi rispetto a dieci anni fa e questo sta penalizzando non poco la nostra economia.
In che senso?
Oggi magari si sceglie di camminare con le scarpe bucate, ma non si vuole rinunciare all’ultimo modello di tablet o di dispositivo tecnologico. Questo tipo di comportamento premia i beni importati, penalizzando quelli italiani. Ora c’è da sperare che l’aumento delle detrazioni per le ristrutturazioni metta in moto un meccanismo positivo.
Un meccanismo che potrebbe in qualche modo stimolare alcune tipologie di consumi.
Sì, potrebbe far ripartire i consumi di mobili, porte, finestre, maniglie, impianti di riscaldamento, tegole, piastrelle, ceramiche, rubinetti, dove i produttori italiani sono tra i leader mondiali, ma soffrono il calo della domanda interna. Oggi il nostro Paese si trova in una morsa diabolica: molti beni che sappiamo produrre sono difficili da esportare e devono fare i conti con un mercato interno fermo. Tutto questo fa involvere l’economia, con crisi di imprese, aumento della disoccupazione e, di conseguenza, ancora minori consumi.
(Lorenzo Torrisi)