La cultura ridà l’uomo a se stesso. E’ “una sorgente primaria di energia”. Ma la politica non sa che farsene. In fondo è bene che non faccia niente, se non offrirle le “condizioni per rischiare”, autonomamente, come si conviene ad uno spirito libero. Questa è l’esperienza culturale milanese. Per accorgersene basta mettere insieme interlocutori diversi come ha fatto mercoledì sera il Centro culturale di Milano, nel terzo incontro di un ciclo pensato per approfondire i temi caldi in vista delle prossime amministrative.
Tutto è cultura: quello che viene trasmesso a scuola, ciò che viene offerto in teatri, musei, ma anche l’idea di vita che viene fatta passare in un ospedale, o ciò che accade tra un gruppo di giovani rapper in uno scantinato. Ogni cosa trasmette cultura perché, come ha ricordato Andrée Ruth Shammah, direttrice del Teatro Franco Parenti, cultura è “parlare dell’uomo all’uomo”. Una dimensione radicale, costitutiva, e per questo “deve essere di tutti e per tutti”, secondo il tratto distintivo dell’esperienza di Milano, di cui pare siano coscienti più gli stranieri che i milanesi.
Milano sta attraversando una nuova rinascita, lo si dice da tempo. L’Expo è piaciuta e il Salone del mobile chiuso lo scorso fine settimana ha rinforzato la scia di energia positiva che si sta vivendo. Anche questa è cultura, ma a Milano c’è ben altro. Tanto da far dire allo scrittore Luca Doninelli che nel capoluogo lombardo, una delle più ricche città europee, i beni immateriali prevalgono su quelli materiali.
Qui si trovano eccellenze in campo educativo, universitario, teatri (rimasti in vita a differenza che nelle altre città italiane), design, moda, cultura scientifica e imprenditoriale. Ma c’è qualcosa in più. Salvatore Carrubba, già assessore alla cultura della giunta Albertini e oggi Presidente del Piccolo Teatro di Milano, cita “Cento anni” di Giuseppe Rovani: “A Milano i nostri pensatori avevano […] saputo illuminare le masse”, a differenza che in altri posti come la capitale, dove al contrario la scienza “era rimasta perfettamente oligarchica, ed aveva lasciato il popolo qual era”.
Gli fa eco la Shammah raccontando che quando Giorgio Strehler provava al Piccolo, tutti lo sapevano a Milano. Si faceva teatro per gli operai, per tutti. Tutti aspettavano quell’atto creativo, aspettavano che nascesse quel qualcosa “che prima non c’era”. Un atto gratuito, “d’amore”, che ha bisogno di investimento a lungo termine, e non può essere sottoposto a una resa immediata. La crescita di una coscienza è come quella di un seme che ha bisogno di “durata, ripetizione”, non di “adrenalina”.
Rapporto con la politica si diceva. Un tessuto sociale come quello descritto non può che avere una relazione particolare con il potere politico. E già Bonvesin de la Riva ebbe a sconsigliare a qualunque dominatore di prendere a Milano il suo dominio perché come con un’anguilla, “quando penserà di averla in suo potere e si sentirà al sicuro, all’improvviso si ritroverà a mani vuote”.
E poi il rapporto tra potere politico e cultura. La politica – ha detto Carrubba – ha un disagio nei confronti della cultura, e infatti in questa campagna elettorale nessuno ne parla. Nella realtà la politica non sa bene a cosa serve la cultura, soprattutto quando le risorse scarseggiano. Il nodo gordiano da sciogliere è chiaro: occupati a creare eventi per raccogliere il consenso politico, non ci si accorge che la cultura va lasciata vivere autonomamente, garantendo pluralismo, contro il conformismo, perché tutte le diverse realtà possano esprimersi.
Quali sono le sfide?
Abituati fino a un passato non lontano a confrontarci con dimensioni quali conoscenza, ricerca, bellezza, creatività, oggi le sfide sono espresse da parole come tecnologia, multiculturalità, vastità delle possibilità, ma anche scarsità di fondi e disorientamento.
Sulla sfida multiculturale c’è da sperare che certe esperienze, mutatis mutandis, siano ancora possibili. Come quella in cui un grande cattolico ribelle come Giovanni Testori, un comunista ribelle come Franco Parenti e una giovanissima ebrea, la Shammah, si sono messi insieme e hanno fondato un Teatro che dopo più di quarant’anni mantiene ancora la sua grande vitalità. E soprattutto c’è da sperare che venga salvaguardata l’eccellenza del sistema educativo, ha spiegato Marco Bersanelli, docente di Astronomia e Astrofisica e Presidente della Fondazione Sacro Cuore, che, come in tutto il mondo, viene mantenuta grazie alla libertà di educazione, in un sistema cioè in cui convivano realtà statali e private. Con un occhio particolare all’alfabetizzazione adulta di base dei CPIA (centri provinciali per l’istruzione degli adulti) ad esempio, ricordati da Doninelli, se è vero, come è vero, che la formazione del popolo è il valore aggiunto di questa città.