«Il dato dell’Ocse sul Pil dell’Italia è la prima di una serie di correzioni al ribasso che porteranno a fare sì che il 2015 sia il quarto anno di recessione consecutiva». Lo osserva Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma. Per l’Ocse il Pil del nostro Paese crescerà dello 0,2% nel 2015 e dell’1% nel 2016. È quanto emerge dall’Outlook economico preliminare per i Paesi del G20, secondo cui l’Italia è al penultimo posto davanti soltanto alla Russia.
Qual è il significato di questo +0,2%?
Il massacro è cominciato. È l’inizio delle danze con una serie di dati economici che con il passare del tempo andranno a smentire regolarmente le proiezioni ufficiali come è successo negli ultimi anni. Ricordo solo l’ultima, quella della Commissione Ue, che ha previsto che il Pil dell’Italia nel 2014 sarà pari al -0,4% a fronte del +0,8% che era stato previsto per lo stesso periodo solo sei mesi prima dal governo Renzi.
Ma il dato Ocse è attendibile?
Ritengo che sia fin troppo ottimistico. Il +0,2% delle proiezioni Ocse è stato negoziato politicamente, il che vuol dire che è una sovrastima di quanto effettivamente ci si aspetta. Nei prossimi mesi scopriremo inesorabilmente che l’Italia entrerà nel quarto anno di recessione. Quello dell’Ocse è un segnale forte, che racconta una storia diversa rispetto a quella che è stata raccontata dal governo che ci ha detto che le manovre economiche da loro deliberate sono espansive.
L’Ocse insomma non si adagia sui luoghi comuni?
No, anzi ci racconta una storia diversa rispetto a quella dell’Europa che si basa sulle riforme per risolvere la crisi. Aspettiamo semplicemente che questi dati si traducano in disagio per le persone, e che quest’ultimo si traduca in disagio politico fino a portare alla fine del progetto europeo.
Lo Sblocca-Italia e la Legge di stabilità possono invertire questo trend?
Basta leggere la relazione della Banca d’Italia a commissioni parlamentari riunite per vedere che il rapporto tra le entrate fiscali e il Pil nel 2014 rimane costante al 48,5% e nel 2015 salirà, mentre le spese correnti restano invariate. A cambiare è soltanto la spesa in conto capitale rispetto al Pil che viene ridotta dello 0,2%. È quindi una manovra di totale stagnazione che mette il risparmio contro il consumo, come se non fossero tutti e due degli alleati da stimolare. Il Governo mette tutto nelle mani del settore privato con la speranza che tagliare i contributi possa generare crescita. È quindi una grande deresponsabilizzazione della politica economica che dice al settore privato “prego fate voi”.
Che cosa avrebbe dovuto fare il nostro Governo?
L’Italia avrebbe dovuto rifiutarsi di stare al gioco di una manovra recessiva, tenendo il deficit al 3% anziché portarlo al 2,6% e chiedendo che anche la Germania facesse la sua parte attraverso l’eliminazione degli sbilanci di parte corrente. In caso di risposta negativa da parte di Berlino, l’Italia avrebbe dovuto portare il deficit al 4%, attuando nello stesso tempo investimenti pubblici e spending review. Al contrario la spending review non è stata attuata e gli investimenti sono stati tagliati. Se a quel punto l’Ue ci avesse imposto delle multe, il Governo avrebbe potuto dire ai cittadini: “Questo è il nostro progetto, ma non possiamo andare avanti”.
E invece?
Purtroppo tutto questo non c’è, si pensa alla governabilità come indice principale di successo senza riflettere sul fatto che quest’ultima si assicura nel lungo periodo soltanto con la qualità del governo.
(Pietro Vernizzi)