for the discovery of
ubiquitin-mediated
protein degradation”
Per il secondo anno consecutivo, il premio Nobel per la Chimica è stato assegnato a ricercatori nel campo biomedico e con una formazione essenzialmente medica. Questo, mentre mette in evidenza come l’indagine sul comportamento degli esseri viventi si giochi ormai in gran parte al livello molecolare, mette in crisi che cosa sia la chimica oggi. Infatti il criterio di definizione di chi sono i chimici si sta modificando: è significativo che in Gran Bretagna la Royal Society of Chemistry abbia allargato i suoi criteri d’ammissione per cui possono farne parte ricercatori che non posseggono un curriculum chimico nel senso tradizionale e la American Chemical Society ha istituito al suo interno nuove divisioni come quelle dedicate alle nanotecnologie o alla proteomica.
Mentre moltissimi si dedicavano allo studio del meccanismo di sintesi delle proteine cellulari, Aaron Ciechanover (1) [Immagine a sinistra], Avram Hershko (2) [Immagine a destra], israeliani, e Irwin Rose (3) [Immagine che segue a sinistra], statunitense, alla fine degli anni Settanta, si sono dedicati all’altrettanto importante processo della loro scomposizione in amminoacidi cioè la proteolisi dipendente dall’energia.
All’interno della cellula di qualsiasi essere vivente viene continuamente sintetizzato un enorme numero di proteine con funzioni diverse. Processi essenziali della cellula sono attivati o inibiti dalla presenza di una determinata proteina, in molti casi tale proteina responsabile di un processo è mantenuta allo stato inattivo da uno specifico agente, anch’esso proteico, che la inibisce e che va eliminato nel momento in cui è necessario che il processo avvenga. Inoltre, nel processo di sintesi spesso avvengono errori e si presenta la necessità di distruggere le proteine indesiderate recuperando gli amminoacidi di partenza. All’inizio dell’attività dei tre premiati era noto che, al contrario dei processi enzimatici che degradano le proteine d’origine extracellulare, come per esempio nella digestione, gran parte dei processi di degradazione delle proteine di origine intracellulare richiedono energia metabolica.
In una serie di studi biochimici svolti a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo, attraverso una strategia di purificazioni, separazioni e ricostruzioni, essi hanno dimostrato come il processo di degradazione dipenda da una preliminare marcatura della proteina, isolando il fattore che costituisce tale marca e identificandolo in un pepetide piuttosto piccolo (peso molecolare 9 000 dalton) al quale successivamente è stato dato il nome d’ubiquitina. Negli studi successivi, essi hanno ricostruito il processo enzimatico che seleziona la proteina da destinare alla distruzione e provvede a legarla all’ubiquitina. L’organulo responsabile della distruzione delle proteine intercellulari è il proteosoma, una struttura cilindrica al cui interno le proteine vengono scisse in piccoli peptidi formati da pochi (7-9) amminoacidi. Dato che l’attività del proteosoma non è specifica, l’ingresso è normalmente bloccato e solo le proteine destinate alla distruzione sono in grado di penetrarvi.
Il meccanismo d’apertura del proteosoma è provocato da una catena formata dalla ripetizione di più unità proteiche di 76 amminoacidi ciascuna che, poiché si presenta nelle cellule dei tessuti e di organismi più diversi, ha preso il nome d’ubiquitina. La presenza di tale catena, legata covalentemente alla proteina da distruggere, provoca l’apertura del proteosoma e fa sì che quest’ultima possa penetrarvi, mentre la catena di ubiquitina si stacca e viene riciclata.
Il meccanismo di distruzione delle proteine intramolecolari richiede un apporto d’energia e quindi è ATP dipendente. In realtà, il processo che consuma ATP non è la proteolisi vera e propria ma è quello che «marca», attraverso un processo enzimatico in tre stadi, le proteine destinate a penetrare il proteosoma. Un primo enzima E1 attiva la molecola di ubiquitina, consumando ATP, trasferendola poi a un enzima E2. Un terzo enzima E3 si lega in maniera specifica alla proteina bersaglio, formando un complesso, ad essa poi si lega l’ubiquitina rilasciata da E2: questo terzo stadio può ripetersi più volte finché la proteina viene rilasciata per essere catturata dal proteosoma.
In una cellula, mentre esistono pochi tipi differenti di enzimi E1 e E2, in relazione alla specificità della loro azione, ci sono migliaia di tipi differenti d’enzimi E3.
Moltissimi sono i processi cellulari, sia negli animali sia nei vegetali, che sono stati riconosciuti come dipendenti da un meccanismo di proteolisi attraverso l’ubiquitina. Si va dall’inibizione dell’autofertilizzazione dei fiori femminili da parte di quelli maschili di una stessa pianta ad alcuni meccanismi di riposta immunitaria. Per esempio, durante il ciclo cellulare, le coppie di cromosomi sono tenute insieme da una struttura proteica ad anello, di cui un particolare enzima provoca l’apertura al momento opportuno (passaggio dalla metafase all’anafase). Per attivare l’enzima, il suo inibitore viene marcato con una catena di poliubiquitine e avviato alla distruzione nel proteosoma.
La proteina p53, quando è attiva, stimola la trascrizione del gene soppressore del ciclo cellulare permettendo di avviare il meccanismo di riparazione del DNA oppure, se il danno permane, la morte cellulare (apoptosi). Normalmente il livello di p53 è molto basso in un continuo equilibrio tra sintesi e degradazione controllato da un meccanismo di marcatura con ubiquitina attraverso uno specifico enzima del tipo E3. In presenza di un danno al DNA la proteina p53 viene fosforilata e quindi la sua possibilità di interagire con l’enzima è ridotta: il livello di p53 nella cellula aumenta e il ciclo cellulare si arresta. Per questo la proteina p53 ha la funzione di sopprimere i tumori: in una notevole parte dei tumori si è trovata una forma mutata di p53.
È particolarmente interessante quanto Avram Hershko ha recentemente sostenuto in un’intervista: alla richiesta di un consiglio ai giovani ricercatori egli raccomanda di non guardare ai problemi sui quali già sono in molti a lavorare, perché è difficile dire qualcosa di veramente nuovo, ma di stare attenti a tutti quei problemi, altrettanto importanti, che proprio perché l’attenzione dei più è rivolta altrove vengono trascurati.
Infatti quando essi cominciarono a studiare la proteolisi, tutti si occupavano invece della sintesi proteica e di come questa era controllata dal genoma; come si è visto, la proteolisi è altrettanto importante per il controllo dei meccanismi cellulari.
Emanuele Ortoleva
(Professore Associato di Chimica Fisica presso l’Università degli Studi di Milano)
Note
- Aaron Chiechanover (1947- ) israeliano, lavora all’Institute of Technology di Haifa, Israel
- Avram Hershko (1937- ) di origine ungherese, lavora all’Institute of Technology di Haifa, Israel
- Irwin Rose (1926- ) statunitense, lavora all’Università di Irvine, California (USA)
© Pubblicato sul n° 22 di Emmeciquadro