Mio nipote quando racconta l’episodio evangelico della resurrezione di Lazzaro per abbreviare dice Gesù che risveglia la mummia. E’ evidente l’influenza nefasta che sulla sua giovane mente esercitano le avventure di Scooby Doo e compagni. Non voglio addossare responsabilità alle illustrazioni che affiancano i racconti evangelici nei libricini edificanti per bambini in età prescolare.
La Resurrezione lui la digerisce benissimo. Anche quella di Gesù, che nei suoi disegni è sempre inglobato in un alone “giallo oro”, colore chiaramente applicabile solo a chi ha poteri straordinari. Prendo a prestito la mia esperienza di zia, perché i bambini si bevono meglio di chiunque altro le storie, e per questo forse riescono a credere in ciò che per noi è incredibile. Sto parlando, infatti, di un Uomo, che si dichiara figlio di Dio, che viene crocefisso, muore e poi resuscita. Mettiamola giù com’è: non è scontato accettare la Resurrezione. E stavolta nello scetticismo sono confortata niente di meno che da Francesco in persona che ieri, nella sua catechesi in piazza san Pietro, ha detto, parola più parola meno, ciò che ho appena affermato: “non è facile essere aperti a Gesù”, “accettare la vita del Risorto e la sua presenza in mezzo a noi”. E guardate che persino chi lo aveva conosciuto allora, prima della Passione, aveva i nostri stessi problemi. Possiamo persino identificarci.
Chi siamo noi? Tommaso? Quello del “se non tocco non credo”? Maria di Màgdala, talmente concentrata nel suo dolore che non lo riconosce subito? O addirittura i due tontoloni di Emmaus, che gli camminano affianco, gli parlano e sono talmente depressi che devono aspettare che spezzi il pane per capire che è proprio lui? Io non ho mai sopportato Tommaso, perché questa cosa che qualcuno debba mettere il dito nella piaga per capire mi innervosisce. Toccare l’evidenza è stupido, ma porre una condizione alla fede è presuntuoso. Se devi toccare, che fede è?
Direi che mi ritrovo meglio nella piagnona di Màgdala. E non soltanto per solidarietà di genere. Il fatto è che mi rendo conto che qualcuno mi vuol bene quando mi chiama per nome, quando scandisce tutte le sillabe, quando non prende scorciatoie ma fa la fatica di pronunciare tutte le consonanti e vocali per identificare senza ombra di dubbio la mia persona. Ed è quello che è successo a Maria Maddalena. Gesù la chiama per nome. Lei si accorge che è Cristo risorto quando Lui ancora una volta riconosce il suo io.
E’ sempre la vecchia storia dell’Io e del Tu. Devo dire che pure i due di Emmaus, abbacchiati e mesti, tutti presi dal fallimento del loro sogno, che non si accorgono di averlo come compagno di cammino non sono poi tanto lontani dalla mia esperienza.
Come la giriamo siamo tutti lì, incastrati nella casistica evangelica: reticenti, ingabbiati, immobili in una fede talmente debole da non resistere neanche ai tre giorni. Come ha ben detto ieri Francesco, “cerchiamo tra i morti colui che è vivo”. E’ l’inciampo. Nel senso letterale. Ci imbattiamo nella questione determinante per il dirsi cristiani. Credere in Gesù Risorto. Perché altrimenti “cerchiamo la vita tra le cose morte, fra le cose che oggi sono e domani non saranno più, le cose che passano?”, ha detto Bergoglio. Quando dimentichiamo Dio e il prossimo, quando poniamo le nostre speranze nel denaro, nel successo, nella vanità cosa cerchiamo?
Non certo Cristo vivo e vegeto. Ecco allora il refrain del mercoledì dopo Pasqua secondo Papa Francesco: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. Ovviamente l’ha fatto ripetere alle migliaia di fedeli presenti all’udienza generale. Lui è così, come i vecchi preti di campagna: repetita iuvant. Una domanda che – secondo il Papa – deve interpellare nell’arco della giornata per far “uscire dagli spazi di tristezza e aprire orizzonti di gioia e speranza”. Una domanda che deve scalfire le pietre tombali che abbiamo posto sul cuore e i sepolcri della nostra memoria. Una domanda che “fa superare la tentazione di guardare indietro, a ciò che è stato ieri, e ci spinge verso il futuro”.
E questa è la cosa più interessante, la Resurrezione che proietta la Chiesa verso Cristo, il Vivente. Per il Pontefice “Ieri” è la tomba di Gesù e la tomba della Chiesa, il sepolcro della verità e della giustizia. L’Oggi è la “resurrezione perenne” verso cui “ci spinge lo Spirito Santo, donandoci la piena libertà”. Quando siamo soli, abbandonati, depressi, alle prese con un fallimento o imbrigliati nei nostri peccatucci borghesi, cerchiamo Gesù tra i morti invece di riconoscerlo vivo.
Non è male come analisi sociologica di certe società metropolitane. Ma credo che un’altra frase pronunciata ieri dal Papa serva a capire meglio la questione. Alla fine dell’udienza ha fatto riferimento al video-appello inviatogli dagli operai della Lucchini di Piombino, tristi e preoccupati per la chiusura di un altoforno che, a breve termine, vorrà dire lacrime e sangue. Ebbene, un Bergoglio commosso ha chiesto di “aprire gli occhi” e di non rimanere “con le braccia incrociate”. Aprire gli occhi per cercare, sì, con creatività e speranza, soluzioni alla crisi. Ma aprire gli occhi soprattutto per guardare bene Cristo Risorto. Perché solo cercando chi è vivo, si può vivere.