«Il New York Times promuove la cultura di Milano per merito della società civile, non delle sue istituzioni. Il capoluogo lombardo continua a essere vivo grazie a una grande ricchezza e impegno delle singole persone e associazioni, mentre la politica spesso non fa altro che sedervisi sopra». E’ il giudizio di Paolo Del Debbio, giornalista e conduttore di Mattino Cinque, dopo che il quotidiano Usa ha tessuto le lodi di Milano ponendola al quinto posto in una classifica di 41 città al mondo che vale la pena di visitare. Ilsussidiario.net ha aperto il dibattito su questa scelta. Per lo scrittore Luca Doninelli, «uno dei caratteri fondamentali di Milano è la sua irrequietezza fattiva. La realtà non lascia in pace lo spirito milanese, che è sempre alla ricerca di una comprensione più profonda delle cose». Per Zecchi al contrario «Milano è una metropoli culturalmente in declino, e trovo una scelta pretestuosa e snobistica, tipicamente newyorkese, averla anteposta alle grandi città d’arte come Venezia, Firenze o Roma».
E lei Del Debbio da che parte sta?
Intanto, il giudizio del New York Times è positivo e basta, non c’è da discuterlo molto. Una volta tanto che la stampa straniera si degna di trattarci bene, approfittiamone…
Ma ritiene che sia un giudizio convincente?
Certo, sarebbe interessante vedere con quali parametri è stata stilata la classifica, in base alla quale si è deciso che Milano è una delle città più visitabili. Quello che emerge con chiarezza dall’articolo del quotidiano Usa però, è che ha premiato Milano soprattutto per gli sviluppi degli ultimi anni.
Che cosa ne pensa in particolare dell’idea di Doninelli, secondo cui il tratto distintivo di Milano sarebbe l’«irrequietezza fattiva»?
Questo è più valido per quanto riguarda la società civile che non per le istituzioni. A Milano purtroppo Comune e Provincia sono un po’ pachidermiche, non sono molto creative, vivono di una ricchezza milanese molto forte e si siedono sopra questa ricchezza invece di svilupparla.
Insomma la Moratti non fa molto per la cultura…
Il Museo del Novecento è merito del Comune di Milano e vedo che il sindaco Letizia Moratti in questa ultima fase si sta finalmente risvegliando e mobilitando. Mi fa molto piacere, dopo che per molto tempo non si è fatto altro che discutere delle poltrone di Expo.
Mentre le città di tutta Italia si lamentano per i tagli alla cultura, perché solo Milano è riuscita a trovare una risposta?
Il merito è dei cittadini milanesi, che si sono messi le mani in tasca per aiutare le realtà culturali. E parlo non solo di singole persone, ma anche dei diversi sponsor e imprenditori.
Sempre per Doninelli, il merito del Museo del Novecento è quello di essere «uno spazio pensato a partire dalle opere che deve ospitare», e non una scatola vuota in cui contano solo le poltrone…
Questa è una cosa importantissima: si parte dall’oggetto e non dai soggetti istituzionali. Questo dovrebbe guidare tutte le riforme. Anche nella pubblica amministrazione, occorre partire dal cittadino e non dal Palazzo, e lo stesso vale per la scuola: si deve partire dagli studenti, non dai professori. Il discorso che fa Doninelli è quindi giusto, ma poi siamo tutti uomini, per cui uno pensa prima al proprio potere e poi a tutto il resto.
Ritiene che a Milano ci sia una ripresa o un declino dal punto di vista culturale?
Questa grande ripresa culturale non la vedo, però magari mi sfugge. Mi fa molto piacere che gli americani apprezzino Milano, ma più che una situazione di fermento generale vedo due grandi eventi, che purtroppo però non sono stati citati dal New York Times: la triennale e il salone del mobile. Mentre la Scala vive soprattutto di un grande passato.
Perché la triennale secondo lei è così decisiva?
Sotto la presidenza di Davide Rampello i visitatori si sono decuplicati, se ne parla ovunque, ha aperto delle nuove filiali nel mondo, insomma è una realtà importante.
Milano può ancora essere in grado di esportare cultura?
Più che esportare cultura può entrare nei grandi circuiti mondiali dove si fa cultura, può non essere assente. L’importante però è che Milano non sia chiusa in se stessa. In quelli artistici c’è già abbastanza, speriamo che grazie all’Expo entri anche in quelli sulla globalizzazione e sulla povertà nel mondo.
Lei ritiene che vadano messi al centro i problemi dell’economia o quelli della cultura?
In Italia non esiste una distinzione tra l’aspetto economico e quello culturale, l’unico «giacimento» che abbiamo è la nostra storia, l’arte e la musica. Altre materie prime in Italia non ne abbiamo, e in un momento di crisi economica, essere un punto d’attrazione per il turismo culturale è un fatto importante. Non bisogna quindi aspettare che ci siano i soldi per fare la cultura, perché in questo Paese la cultura è un modo per fare i soldi.
Il centrodestra può fare di più per la cultura in Italia?
L’attuale maggioranza dovrebbe rimettersi a parlare di programmi e non di cose marginali. Questo è un invito generale, nel quale rientra anche la cultura.
(Pietro Vernizzi)