Caro direttore,
è indubbiamente un merito anche del tuo giornale che si ritorni a discutere di problemi cittadini e ci si misuri sul programma dell’uno o dell’altro candidato. Si vive una stagione politica di grande confusione, dove se ne sentono di tutti i colori e dove soprattutto non si vedono più riferimenti politici precisi e di visione futura, anche nell’idea del futuro di una città e di una grande area metropolitana. Va bene che sia arrivato il tempo della caduta delle ideologie, ma il tran-tran delle banalità e delle indicazioni di massima o degli elenchi di problemi non fanno una stagione di “primavera politica”.
Ti scrivo quindi perché, con tutto il rispetto, ma anche con la necessaria franchezza, non si capisce bene quale sia l’alternativa reale e attuale che viene proposta alla lista di centrosinistra di Giuseppe Sala, con la sicurezza di essere e di rappresentare la “Milano popolare”.
Milano è innanzitutto uscita dal “mazzo” delle risse di una fase politica concitata che si è vista in questa campagna amministrativa un po’ ovunque. In qualsiasi altra città italiana, il confronto si è spesso evitato oppure è stato, in queste settimane e in questi mesi, improntato da contrapposizioni dure e nello stesso tempo quasi incomprensibili.
Il merito della giunta di Giuliano Pisapia, in questi anni, è stato quello di realizzare quello che certamente anche altri avevano progettato e messo in cantiere, ma soprattutto è stato quello di riportare a Milano un confronto serio e franco, dove oggi i candidati di due schieramenti si possono misurare davanti agli elettori in un clima di accettabile contrapposizione politica.
Di tutto quello che è avvenuto in questa campagna elettorale, pasticciata, confusa e in alcuni posti condotta con toni da taverna, alla fine Milano rappresenta l’esempio positivo che è necessario ricordare e sottolineare.
Il che non significa che non esistano ancora “sacche” di contestazione anche violenta, come si è visto ad esempio un anno fa, all’apertura dell’Expo, ma la risposta dei milanesi è stata pronta, precisa e indubbiamente maturava in una città che, seppure carica di problemi e di interrogativi, aveva imboccato una strada nuova, non più fatta di sole contrapposizioni e ripicche, ma di realizzazioni possibili in questi tempi di perenne stagnazione.
Di fatto, non vorrei ritornare sulla realtà dell’Expo come fatto discriminante di una nuova stagione di Milano rispetto agli anni passati sotto l’egemonia di giunte di centrodestra. L’Expo è stata indubitabilmente pensata e voluta da tanti, in modo trasversale. Ma il semplice fatto che sia stata realizzata da chi oggi rappresenta la continuità di questi anni, nel clima che oggi si respira un po’ in tutta Italia, è un fatto positivo che ha quanto meno evidenziato una volontà reattiva di Milano che da tanto tempo non si vedeva. E tutto questo va sottolineato.
Per anni abbiamo vissuto in una Milano che si “rotolava” su se stessa e che sembrava mettere a rischio due caratteristiche precise della città: la cultura del fare e la cultura dell’accoglienza. L’egemonia che in questa città ha avuto il centrodestra per tanti anni è stata lentamente sciupata da divisioni e da contrapposizioni e continue discussioni interne a questa area che meglio di altre doveva raccogliere, in una determinata fase storica e politica, l’eredità delle grandi amministrazioni di Milano.
Di fatto nelle elezioni del 2011, proprio il logoramento del centrodestra ha segnato il primo abbandono delle urne da parte dei milanesi. Il centrodestra non si è solo diviso spesso al suo interno, ma in alcune occasioni Milano è stata pure scambiata come una piattaforma di lancio per alcune aspirazioni personali, magari da giocare su un tavolo differente, particolare, nell’ambito della politica romana e nazionale. In più, tra alti e bassi, si è sentito il peso, proprio all’interno del centrodestra, della visione leghista in materia di accoglienza che è la perfetta controtendenza dell’anima di Milano e della cultura secolare milanese.
Probabilmente Matteo Salvini non caratterizza l’anima del centrodestra milanese, o come si dice adesso della “Milano popolare”, ma che lo stesso candidato sindaco Stefano Parisi dia l’impressione di guardarsi dalle “sparate” del giovane segretario leghista è indicativo di un’area politica dove esistono divisioni ancora profonde.
Analizzata anche solo questa parte dell’attuale quadro politico milanese, perché rischiare di compromettere una continuità che da Pisapia in avanti si è dimostrata positiva per la città? E’ forse un caso che nella stessa Milano di questo periodo l’area della cosiddetta anti-politica e anti-sistema sia ridotta a una percentuale che potrebbe definirsi trascurabile?
La scelta di accordare fiducia a Beppe Sala, alla continuità che garantisce, potrebbe essere sorretta da tanti episodi che si sono raccolti e si potrebbero narrare. Se ci sono testimonianze personali di voglia di cambiamento e di buoni interventi di Parisi in questa campagna elettorale, ci sono altrettanti fatti e testimonianze di presenze di Sala a Milano in questo periodo che potrebbero essere elencate. Ma è il clima complessivo che si è creato a Milano, l’inversione di tendenza rispetto alle precedenti giunte di Palazzo Marino, che fa della lista di Beppe Sala una scelta a nostro avviso migliore e più sicura.
Milano non ha bisogno di una “densificazione”, ma di un ordinato sviluppo urbano dove, accanto al riscatto di molte periferie, va giocato al massimo il ruolo di città europea, centro di appuntamenti internazionali di grande interesse per lo sviluppo dell’economia italiana. Milano ha inoltre un ruolo di leadership nella ricerca scientifica e di centro di studi universitari di grande livello che deve essere incoraggiato e sostenuto.
La strada sin qui seguita è quella giusta. Lasciando perdere le critiche di vario tipo che vengono da una parte e dall’altra, la sola Expo ha portato quattro punti di Pil alla città. Perché quindi non premiare queste scelte e avere fiducia di una positiva inversione di tendenza in un periodo di crisi generale e di profonde divergenze pseudopolitiche?