Edward O. Wilson
Biodiversità
Sansoni, Milano 1999 (prima edizione 1993)
Pagine 472 – € 16,53
Edward Obsorne Wilson è uno dei più grandi ecologi viventi. Nella sua brillante carriera scientifica si è occupato di disparati problemi: dalla sistematica delle formiche all’etologia degli insetti sociali e alla sociobiologia, dalla biogeografia (sua e di Robert Mac Arthur la teoria della biogeografia insulare) alle ricerche sulla biodiversità. In ognuno di questi settori l’apporto di Wilson è riconosciuto dai colleghi come un elemento importante, con cui confrontarsi, magari anche polemicamente.
Sono ancora famose le dispute riguardanti la sociobiologia: in particolare l’entusiasmo di Wilson circa l’analisi del comportamento dell’uomo, osservato in ottica sociobiologica, ha scontentato sia chi pretendeva di descrivere la realtà in un’ottica marxista (chi sostiene il darwinismo sociale spesso utilizza riferimenti alla sociobiologia, per cui la sociobiologia tutta è da annullare), sia chi ancora è convinto (è il caso dei gruppi fondamentalisti cristiano protestanti negli Stati Uniti) che l’evoluzione sia solo una fan tasia di Darwin, e che occorre presentare come «teorie non provate» tutti gl” studi che parlano di evoluzione o che osano datare sopra i 6 000 anni l’eta della Terra.
Il testo originale, The diversity of life, ora pubblicato con il titolo Biodiversità, era stato già editato da Rizzoli nel 1993 con il titolo La diversità della vita. Questo saggio, forse il più avvincente tra i molti scritti da Wilson, affronta la cosiddetta crisi della biodiversità, intendendo per biodiversità la varietà degli organismi a tutti i livelli (specie, genere, famiglia, ma anche individui, popolazioni, ecosistemi e paesaggi).
Scritto con rigore scientifico e stile awincente, rappresenta un utile complemento ai libri di testo di biologia. I vari capitoli trattano i principali problemi della biologia evoluzionistica e dell’ecologia delle comunità: dal concetto di specie ai meccanismi dell’evoluzione, dalla biogeografia insulare alla storia della vita sulla terra, dai ragionamenti sul ruolo dei disturbi nella dinamica degli ecosistemi ai principi di successione delle comunità vegetali ed animali. Ne esce una descrizione avvincente di quello che la biologia e l’ecologia hanno scoperto e teorizzato nel XX secolo.
Wilson evidenzia con chiarezza quanto ancora sia da scoprire. In modo particolare sottolinea come, nella biologia, si sia lontani dall’avere una stima attendibile del numero di specie presenti sulla Terra. Ne consegue che è ancora difficile capire nella loro interezza i fattori che determinano la distribuzione e l’abbondanza degli organismi nei diversi ambienti della Terra.
L’intento di Wilson non e però solo quello di descrivere la biodiversità, bensì di denunciare come, in questa epoca storica, l’umanità stia portando all’estinzione molte specie.
Il capitolo dodicesimo, intitolato Biodiversità in pericolo, riporta molti degli episodi di estinzione che l’umanità ha provocato sia in passato (impressionanti sono le prove della scomparsa di grandi mammiferi e uccelli inetti al volo all’arrivo dei primi uomini in America, Australia, Nuova Zelanda e Madagascar), sia nell’epoca pre sente. Wilson sostiene che al momento sia in corso un’estinzione di massa ancor più forte di quelle avvenute in passato (anche prima della comparsa dell’uomo) e che le cause di questa generalizzata perdita di biodiversità vadano ricercate nelle trasformazioni che l’uomo sta apportando alla Terra. La distruzione e la frammentazione di habitat naturali, le modificazioni climatiche, l’inquinamento atmosferico nonché la caccia diretta sono tutti elementi che possono contribuire a portare una specie, o un gruppo di specie, all’estinzione.
Wilson non si limita però a un facile catastrofismo di denuncia: prova anche a indicare alcune vie per modificare l’attuale situazione.
Da un lato è possibile sfruttare economicamente alcune specie animali o vegetali (sia per uso alimentare che farmaceutico) o gestire il territorio in modo da conciliare le esigenze antropiche con quelle di preservazione dell’ambiente naturale.
D’altra parte e necessario un impegno della società sia per promuovere una conoscenza più approfondita della biodiversità (è curioso sapere con precisione la distanza che ci separa dal sole o le dimensioni delle più piccole particelle subatomiche, ma non essere in grado di esprimere neppure un ordine di grandezza sul numero di specie viventi: le stime oscillano tra i 5 e i 100 milioni di specie), sia per considerare il patrimonio biologico delle nazioni alla stregua dei patrimoni materiali e culturali e quindi considerare la conservazione della biodiversità una priorità da non demandare alle generazioni future.
Che cosa rende il testo di Wilson uno strumento utile e autorevole? lnnanzitutto la notevole mole di dati numerici con cui l’autore dimostra le sue tesi. Nel 2001 uno statistico danese, Lomborg, ha messo in discussione i «miti ambientalisti» sostenendo che quasi nulla di quanto affermato dagli ambientalisti e statisticamente e scientificamente provato.
L’approccio ha avuto una notevole risonanza anche sulla stampa non specialistica e poiché uno dei «miti» in questione è proprio l’erosione della biodiversità e la deforestazione nelle aree tropicali (cui il testo di Wilson dedica ampio spazio) vale la pena fare alcune considerazioni.
La comunità scientifica che si occupa di biodiversità è concorde nel riconoscere che attualmente vi è un gran numero di estinzioni dovute direttamente o indirettamente all’attività antropica. Allo stesso modo nessuno mette in discussione (cosa che fa invece Lomborg) il fatto che le foreste pluviali si stiano riducendo e, dal momento che nelle foreste pluviali è concentrata buona parte della biodiversità, con la loro riduzione scompaiono anche molte specie.
La contestazione di Lomborg deriva in buona parte da una cattiva interpretazione dei dati esistenti (che forse avviene per la sostanziale impreparazione ecologica dell’autore): per esempio, proprio per rimanere al dato delle foreste tropicali, Lomborg sostiene che sono aumentate dal 1950 al 1994, e cita le statistiche della FAO. In realtà, andando a leggere i rapporti FAO si vede che con il termine «foresta tropicale» venivano indicate tanto le foreste primarie inalterate, quanto le piantagioni di banane. Se si analizzano i soli dati delle foreste primarie si vede che sono diminuite drasticamente.
Per sostenere le sue opinioni Wilson cita regolarmente lavori pubblicati su riviste soggette a revisione, owero testi che prima di essere pubblicati sono stati rivisti da esperti che ne hanno valutato la fondatezza e la coerenza.
Il testo, oltre a essere rigoroso, e scritto con uno stile avvincente e coinvolgente. Wilson è senza dubbio uno dei migliori narratori di scienza. L’entusiasmo che ha accompagnato la sua carriera scientifica, la passione per la novità, per l’ignoto e per l’esplorazione di lidi sconosciuti (sia reali che metaforici) vengono trasmessi al lettore.
La tensione etica che caratterizza Wilson, naturale sbocco di un amore e di un attaccamento al proprio lavoro, ne fanno un testo di particolare valenza educativa anche per gli studenti delle scuole superiori.
Recensione di Emilio Padoa-Schioppa
(Ricercatore in Ecologia, presso la facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Milano-Bicocca)
© Pubblicato sul n° 17 di Emmeciquadro