La speranza resta quella di raggiungere un accordo entro l’estate, ma per l’Ilva di Taranto non mancano dei “colpi di scena”, come quello rappresentato dalla lettera che Michele Emiliano ha scritto a Luigi Di Maio. Il Presidente della Regione Puglia ha chiesto al ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico di “disporre opportune verifiche sulla correttezza della procedura” che ha portato il Governo Gentiloni a preferire l’offerta di Arcelor Mittal a quella di AcciaItalia, “eventualmente avvalendosi dell’Anac”. Un invito accolto da Di Maio, che ha fatto sapere di aver trasmesso il dossier all’Autorità guidata da Raffaele Cantone. «Emiliano è una bomba ad orologeria: appena intravede uno spiraglio di soluzione per l’Ilva mette in azione la sua opera demolitrice», ci dice Rocco Palombella, Segretario generale della Uilm, che sta partecipando in prima persona alle trattative al Mise e che ha lavorato, proprio nell’acciaieria tarantina, per molti anni.
Perché un giudizio così duro su quanto fatto da Emiliano?
Vorrebbe scegliersi da solo le cordate industriali, in barba a una gara pubblica che ha coinvolto autorità europee, ministeri e Anac. Il problema è che quella da lui preferita ormai non esiste più, continuare a sostenerla è solo fumo negli occhi dei lavoratori. L’unico risultato che può ottenere è il fallimento dell’Ilva, ormai ridotta ai minimi termini, gettando nella disperazione migliaia di famiglie. Se è questo il suo obiettivo allora ci sta riuscendo, ma è da irresponsabili.
Cosa pensa invece del fatto che il ministro Di Maio abbia accolto la richiesta del Governatore pugliese?
Noi dobbiamo continuare a lavorare per dare risposte certe e concrete al Paese. La presentazione all’Anac del dossier da parte di Di Maio è sicuramente un atto dovuto, va bene fare piena luce sulla vicenda, ma chiediamo al Ministro che non ci sia un ulteriore stallo della trattativa che deve invece proseguire per arrivare a una soluzione positiva entro luglio.
Tuttavia proprio all’ultimo incontro al Mise di inizio settimana Di Maio ha nuovamente preso tempo. Perché?
Il Ministro ci ha detto che sfrutterà questo tempo per chiedere ad Arcelor-Mittal ulteriori migliorie sul piano ambientale e sui livelli occupazionali, questo non può che trovarci d’accordo. Tuttavia ci aspettiamo che avvenga in tempi rapidi affinché il negoziato con AM riparta su basi diverse e si giunga a un’intesa entro luglio. La proroga si è resa infatti necessaria anche alla luce del mancato accordo sindacale che rischiava di dare spazio, a partire dal 1° luglio, a una gestione unilaterale di Mittal o addirittura a una rinuncia dell’azienda. Entrambe le soluzioni avrebbero avuto conseguenze catastrofiche per tutti i lavoratori e per i territori interessati.
Pensa che Arcelor Mittal sia disponibile ad apportare le migliorie sul piano ambientale e, in particolare, sulla salvaguardia dei livelli occupazionali richieste?
Stando alle parole del Ministro, gli incontri con AM sembrano procedere all’insegna della collaborazione, Mittal si è detto disponibile ad apportare delle migliorie. Per quanto riguarda il piano ambientale è nell’interesse di tutti trovare le migliori pratiche possibili, ovviamente salvaguardando i livelli produttivi; sui livelli occupazionali ci auguriamo che l’azienda colmi le incongruenze che abbiamo sempre evidenziato: a fronte della risalita produttiva non può esserci una riduzione dell’organico, anche perché si passerebbe dall’attuale produzione di 4 milioni e 700mila tonnellate di acciaio annue a 8 milioni di tonnellate di acciaio e 1 milione e mezzo di semi lavorato a fine piano.
Perché Arcelor Mittal vuole ridurre in modo significativo il numero dei lavoratori pur prevedendo un aumento della produzione?
Mittal non è stata mai chiara, né convincente. Probabilmente prende come riferimento gli stabilimenti che possiede in altri Paesi europei. La spiegazione è legata a una relazione molto banale, che loro fanno, tra tonnellate di acciaio prodotto e numero di personale addetto: mille addetti per ogni milione di tonnellate prodotto. Ecco perché per 8 milioni di tonnellate prevedono 8 mila addetti. Inoltre, tutte le attività propedeutiche alla produzione di acciaio – manutenzione, servizi, ecc. – in Ilva fanno parte dell’organico complessivo interno all’azienda, mentre Mittal nei suoi stabilimenti si rivolge all’esterno.
Nel caso Arcelor Mittal non cambi la sua posizione sui livelli occupazionali, ritiene che questo governo possa equiparare la proposta che aveva fatto Calenda per gli esuberi? E voi sareste disponibili ad accettarla?
Se non abbiamo fatto l’accordo con Calenda non lo faremo di certo con Di Maio alle medesime condizioni. Non è una questione politica, ma di merito. Il sindacato ha il compito di tutelare tutti i lavoratori, nessuno escluso. Non firmeremo mai un accordo che preveda un solo esubero e questo lo abbiamo sempre detto a gran voce in più occasioni. Siamo d’accordo sul piano di incentivi volontari da sottoporre ai lavoratori, ma la nostra proposta è chiara: se alla fine del piano ci saranno ancora lavoratori in amministrazione straordinaria, allora Arcelor-Mittal dovrà farsene carico.
Ci può spiegare meglio perché avete respinto la proposta concreta messa sul tavolo dall’ex Ministro Calenda?
La proposta di accordo che ci è stata presentata dal Ministro Calenda il 10 maggio scorso non teneva conto delle nostre richieste e soprattutto non cancellava i 4mila esuberi, su cui ci siamo sempre battuti. Parliamo di persone, di famiglie, di intere comunità che rischiano di perdere tutto. Inoltre, abbiamo ritenuto che fosse sbagliata anche la scelta di una società mista con Invitalia, alla luce dell’esperienza di Cornigliano. Purtroppo l’ex ministro Calenda, oltre al ruolo del politico, voleva svolgere (male!) anche quello del sindacalista.
Lei ha lavorato per molti anni proprio all’Ilva. Pensa che ci siano davvero, come si dice, le condizioni per farla diventare la migliore acciaieria del mondo?
Assolutamente, a patto che si facciano i necessari adeguamenti ambientali. Nei paesi occidentali, vedi gli Stati Uniti, vengono riavviati gli altoforni per produrre acciaio liquido con lo stesso processo dell’Ilva. Lo stabilimento di Taranto si estende per 15 milioni di metri quadrati. Sviluppa al suo interno 190 chilometri di nastri trasportatori, 50 chilometri di strade e 200 chilometri di ferrovia. Ha 8 parchi minerali, 2 cave, 10 batterie per produrre il coke che serve ad alimentare gli altiforni, 5 altiforni, 5 colate continue, 2 treni di laminazione a caldo per nastri, un treno di laminazione a caldo per lamiere, un laminatoio a freddo, 3 linee di zincatura e 3 tubifici. Un’eventuale chiusura significherebbe rinunciare a questo patrimonio per lasciare al territorio un ecomostro di cui non riusciremmo mai a sbarazzarci.
Alcuni osservatori ritengono che il caso Ilva sia importante anche per la riconfigurazione dei rapporti tra politica e sindacato. Lei cosa ne pensa?
Il sindacato non ha bisogno di questo per affermare il suo ruolo. In particolare appartengo a una organizzazione, la Uil, che si è sempre contraddistinta per la capacità di riuscire a dialogare con qualsiasi interlocutore al Governo. Ne stiamo avendo la prova tutti i giorni. A fine giugno il Ministro Di Maio è intervenuto al Congresso della Uil proprio perché evidentemente ci considera degli interlocutori e riconosce il nostro ruolo all’interno della società. Non ci consideriamo secondi a nessuno.