È cominciato ieri, con l’incontro pubblico di Angelo Panebianco sul tema “Tocqueville e l’autonomia della politica”, il ciclo di appuntamenti su “Che cos’è la democrazia”, curato da Salvatore Carrubba e organizzato dal Centro Culturale di Milano in collaborazione con la fondazione Corriere della Sera, Critica Sociale e Laf-Libera Associazione Forense. In attesa di incontrare i prossimi ospiti – Francesco Forte, Sabino Cassese e Andrea Simoncini – ilsussidiario.net ne ha paralto con il curatore, giornalista ed editorialista del Sole-24 Ore. Sugli inviti che pubblicizzano il ciclo campeggia la frase che segue: “la politica, il potere, il futuro, il diritto, la libertà della società, la rappresentanza, lo stato, la sussidiarietà, la sovranità. E le loro involuzioni. Un tentativo di riscoprire le fonti e le esperienze corrispondenti a queste ‘istituzioni’ e ‘relazioni’, senza lasciare sullo sfondo quel mutamento culturale, educativo e antropologico che sta avvenendo sotto i nostri occhi, nel quale tutti siamo coinvolti e responsabili”.
Salvatore Carrubba, perché mettere in piedi un ciclo sui valori di fondo della democrazia in un momento in cui sembra che la crisi sia incentrata sul mancato rinvenimento di soluzioni sul piano concreto e pratico?
Non sono d’accordo sulla domanda: non credo infatti che la crisi nella quale siamo immersi sia determinata da un semplice disagio della tecnica, dall’insufficienza degli strumenti politici e dei mezzi applicativi. A mio parere, essa trova le sue radici anzitutto in un modo di atteggiarsi verso la politica: in Italia ed in Europa stanno prendendo sempre più piede movimenti populisti che sfidano non solo gli assetti delle istituzioni, ma in primis i loro fondamenti democratici. Del resto, poche ore fa, il leader del partito più votato in Italia ha potuto tranquillamente dichiarare di non essere democratico, senza che ciò suscitasse alcuna reazione.
Allora a che sfida stiamo assistendo?
Siamo in presenza di una sfida lanciata alla democrazia ed ai concetti ad essa strettamente collegati: basti pensare alla “democrazia virtuale” che sfida non solo il concetto di democrazia liberale di cui è uno dei fondatori Tocqueville, ma anche quello della nostra Costituzione; non siamo di fronte solo a strumenti nuovi per attuare la democrazia, ma a modi diversi di concepirla.
Rispetto ai valori che ispirano la Costituzione e il mantenimento di un regime democratico spesso si contrappongono pluralismo e dialogo ad efficienza e individualismo. Questa dicotomia è reale?
Questa dicotomia esiste e viene presa in considerazione dallo stesso Tocqueville che si preoccupa, da un lato, di assicurare il dovuto spazio all’individuo ad alla sua iniziativa, dall’altro di affrontare i rischi connessi alla natura della democrazia di massa che favorisce il conformismo e l’appiattimento, con ciò contraddicendo al primo obiettivo. I risultati della tensione tra un individualismo che sconfina nell’edonismo e il conformismo sono oggi chiaramente visibili nel tendenza a imporre ai politici dei codici di comportamento ai quali non ci atteniamo nella nostra vita privata: molti sono evasori, ma sbeffeggiano i politici perché guadagnano troppo. Al fondo di questa pretesa non sta altro che l’invidia sociale, che non è figlia dell’individualismo, ma della pretesa di diventare tutti eguali: l’incubo contro il quale metteva in guardia Tocqueville.
Nel 1984 l’allora cardinal Joseph Ratzinger aveva affermato durante un suo intervento: “Uno Stato che si appoggia sull’ethos — cioè sulla libertà — non è mai compiuto, mai totalmente giusto, mai assolutamente protetto. È imperfetto come l’uomo stesso“. Ritiene anche lei che il rapporto tra democrazia e libertà non sia un’equazione perfetta?
Io credo che Benedetto XVI abbia ragione nell’affermare che lo stato sia per sua natura imperfetto; e che questa realtà sia un dato di cui prendere coscienza e non un errore da correggere. La ricerca della perfezione e del paradiso in terra, infatti, conduce sempre alla creazione di un inferno, a prescindere dal fatto che si affermino ideologie politiche o meccanismi economici. Occorre prendere atto che per sua natura lo stato non è perfetto e che la libertà è il metro su cui misurare il tasso di democrazia di un paese. Inoltre quando parliamo di libertà è necessario mettere a fuoco che cosa intendiamo, se il libero arbitrio o una forma di responsabilità.
Si spieghi.
Uno stato democratico-liberale non può prescindere dalla responsabilità, perché ogni cittadino deve scegliere e assumersi il carico delle proprie decisioni: come afferma lo stesso Tocqueville, l’uomo è un animale sociale e solidale, che coopera coi suoi simili, dunque quandanche ci si trovi di fronte a soggetti aventi punti di riferimento diversi non è mai possibile negare che chiunque è titolare di diritti, all’interno di un fascio di relazioni nel quale sono collocati in quanto cittadini: se tutti ci consideriamo ugualmente cittadini possiamo essere tutti rispettati e, con noi, i nostri interessi. Ma la cittadinanza, ripeto, non può essere disgiunta dalla responsabilità: non è dunque possibile che, affermando la propria libertà, si vada a pregiudicare quella dell’altro che è cittadino al pari di me. Una società perfetta, nel senso di una società che consentisse l’assoluta realizzazione delle pulsioni individuali non sarebbe una società che realizza la libertà, bensì un luogo caotico caratterizzato dal tentativo di imposizione della volontà di ognuno sugli altri.
Per quale motivo si è scelto di partire dall’analisi dell’opera di Tocqueville? Cosa può dire ad un milanese di oggi, profano del pensiero politico sul suo modo di vivere ed intendere la politica?
Se il milanese di oggi è interessato all’evoluzione della società, alla sua strutturazione e al suo ruolo di cittadino, questo è il genere di appuntamenti che non deve perdere perché certamente ricchi di riferimenti per lui preziosi, a partire da un’analisi ricca e variegata del pensiero di Tocqueville, che affronta il tema della libertà come pochi altri, facendo trapelare come sia necessaria e conveniente la costruzione di una convivenza piuttosto che la chiusura nei confronti dell’altro. Ed è un dato particolarmente significativo che queste conversazioni nascano dal dialogo tra un ente di ispirazione cattolica, come il Centro Culturale di Milano, un liberale come sono io, e un circolo di ispirazione socialista come Critica Sociale, a dimostrazione che questi temi, e certi patrimoni ideali, sono comuni a tutte le grandi famiglie di pensiero.
(Francesco Cividini)