Tra giovedì e venerdì, nel giro di 24 ore, si sono susseguiti fatti anche clamorosi sulla vicenda Ilva che aumentano gli interrogativi sul futuro dell’industria siderurgica italiana. Giovedì mattina, il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio ha rivelato – cosa confermata anche da fonti vicine all’azienda – che Arcelor Mittal è pronta a rilanciare il suo piano per Ilva. Giovedì sera, primo colpo di scena, l’Autorita anticorruzione (Anac) ha risposto allo stesso ministro dello Sviluppo economico – che l’aveva interpellata a riguardo – dicendo che ci sono criticità nella gara che, 13 mesi fa, ha portato Governo e commissari ad aggiudicare l’Ilva alla cordata formata da Arcelor Mittal e Marcegaglia (Am Investco) e a stoppare l’offerta di AcciaItalia (Jindal, Cassa depositi e prestiti, Arvedi e Del Vecchio). Ma se la gara per l’Ilva dovrà essere annullata – continua la stessa Anac – non è decisione che spetta all’Autorità guidata da Raffaele Cantone, ma al Mise qualora vi individui un preminente interesse pubblico violato che è invece da salvaguardare.
Secondo colpo di scena: ieri mattina, venerdì, il Ministro Di Maio – riferendo alla Camera – così si è espresso: “La gara è stata un pasticcio, lesa la concorrenza. L’offerta di AcciaItalia era la migliore”. Gli ha replicato, e non poteva esimersi dal rispondergli, Carlo Calenda, il quale ricorda un particolare significativo: “La cordata AcciaItalia è stata montata dal nostro Governo via Cdp. Tutti avremmo voluto che vincesse, ma non al prezzo di truccare la gara”.
Ora: cosa ne sarà a questo punto di Ilva? Innanzitutto, a parte Arcelor Mittal non esiste nessun’altra offerta, al di là di una notizia che non trova nessun fondamento di un possibile ritorno di AcciaItalia, primo perché tra gli ex componenti della cordata i rapporti non sarebbero idilliaci; in secondo luogo, in particolare Jindal e Arvedi si sarebbero molto allontanati dopo il caso dell’ex Lucchini di Piombino, finita appunto a Jindal.
La sensazione è quindi che lo Stato italiano, attraverso il Governo, debba fare i conti con Arcelor Mittal fino in fondo, anche perché nessuno ha ricorso dopo l’aggiudicazione di quel bando. E non è pensabile che Di Maio non lo sappia. Arcelor Mittal, a scadenza della proroga (15 settembre, ma la data contrattualmente potrebbe slittare al 30), in caso di mancata cessione potrebbe chiedere i danni allo Stato italiano. E a quanto possono ammontare i danni rispetto a un investimento da oltre 4 miliardi di euro?
Va inoltre ricordato che la gara è stata lanciata, esperita e aggiudicata in base a una precisa normativa, passata al vaglio anche dell’Antitrust europeo che a maggio ha dato l’ok a Mittal benché sotto condizione: l’eliminazione del gruppo Marcegaglia dal consorzio di acquisto e numerose cessioni tra cui gli impianti di ArcelorMittal di Piombino, oltre a Liegi (Belgio), Dudelange (Lussemburgo), Skopje (Macedonia), Ostrava (Repubblica Ceca) e Galati (Romania). È pensabile, quindi, che Di Maio – in questa situazione così complessa – annulli la gara?
Di Maio sta alzando la tensione sul governo precedente per capitalizzare più che può dalla chiusura dell’operazione. E anche da Anac ha avuto ciò che gli è utile: la conferma che la gara presenta delle criticità. La battuta di ieri “meno male che quelli di prima erano i competenti” è molto più di una battuta.
Presto sarà ufficializzata la nuova proposta di Arcelor Mittal circa ambiente e livelli occupazionali. E, certamente, sarà una proposta migliore di quella che aveva ottenuto Calenda. Quindi, Di Maio potrà proporre condizioni migliori alle organizzazioni sindacali, benché è molto difficile che gli aspetti occupazionali migliorino sensibilmente. Paradossalmente, il caso Ilva potrebbe presto trovare una soluzione. Sempre che la situazione non sfugga di mano. Ma, come si diceva, a Mittal non ci sono alternative.
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