Le previsioni dunque, secondo lo studio coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, sono ottimistiche riguardo la lotta all’Epatite C in Italia. Stime importanti che indicano come entro il 2022 nel nostro paese la mortalità nel nostro paese calerà del 65%, un risultato assolutamente considerevole, raggiunto peraltro in soli 4 anni. Dunque un risultato che pone l’Italia in anticipo di ben otto anni rispetto alle previsioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, questo grazie alla ricerca e agli studi che portano il nostro paese a dedicare una grande attenzione riguardo le malattie al fegato. Merito anche dello screening che permette di tenere sotto controllo le categorie più a rischio, che nei paesi esteri alzano notevolmente il tasso di mortalità. (agg. di Fabio Belli)
ITALIA IN ANTICIPO
L’Italia è notevolmente in anticipo rispetto ad altri Paesi ed è probabile che riesca a debellare definitivamente il virus dell’epatite C già entro il 2030: secondo uno studio reso noto dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità), le morti legate a questa malattia si stanno sensibilmente riducendo dato che il Bel Paese è all’avanguardia grazie a uno screening mirato e a terapie antivirali rivoluzionarie. Tuttavia, secondo lo studio, anche se il “pool di pazienti italiani” potrebbe ridursi entro il 2028, bisognerà fare attenzione al cosiddetto fenomeno dei “casi sommersi”, ovvero quella punta dell’iceberg di persone che, pur avendo contratto l’infezione, non manifesta alcun sintomo visibile e quindi è difficile che venga annoverato nella casistica dei pazienti e curato secondo gli standard. Da qui, come spiegato sopra, la necessità di uno screening capillare e che sia rivolto a particolari gruppi di individui che sarebbero maggiormente predisposti a sviluppare l’epatite C al pari delle categorie a rischio “classiche”, ovvero tossicodipendenti e anche carcerati. (agg. di R. G. Flore)
ITALIA MODELLO NELLA LOTTA ALL’EPATITE C
Qual è la posizione dell’Italia rispetto alla cura dell’epatite C? Secondo uno studio coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e pubblicato dalla rivista Liver International, nel nostro Paese entro il 2022 le morti legate all’infezione potrebbero ridursi del 65%, ovvero si porrà in anticipo di 8 anni rispetto agli obiettivi dell’Oms. Walter Ricciardi, presidente dell’Iss, come riporta Corriere.it, ha spiegato che “Il nostro Paese è un modello nella lotta al virus”. Una notizia che ovviamente porta ad inorgoglire la sfera sanitaria nostrana nonché un traguardo che sarà possibile raggiungere “grazie a un approccio universalistico e solidale unico al mondo, considerando oltretutto il significativo numero dei casi”. Proseguendo di questo passo, dunque, entro il 2030 si potrà assistere all’eliminazione definitiva del virus e l’Italia potrebbe ricoprire un record importante, ovvero essere uno dei primi Paesi a sconfiggere l’epatite C. Per riuscirci, tuttavia, occorre individuare tutti i soggetti che non sanno di aver contratto l’infezione e aumentare il numero dei trattamenti. Ciò potrà essere possibile grazie alle nuove terapie antivirali che hanno rivoluzionato drasticamente il panorama mondiale della malattia trasmessa spesso dal contatto con sangue infetto. In Italia il processo verso l’eliminazione del virus è iniziato già tre anni fa in seguito all’introduzione di un farmaco, sofosbuvir. L’Aifa riuscì a contrattare con l’azienda produttrice il prezzo e a metterlo a disposizione gratuitamente a un gruppo di 50mila pazienti – i più gravi – sfruttando un fondo di 500 milioni di euro messo a disposizione dal Governo.
SCREENING MIRATO COME SOLUZIONE
Come sarà possibile adottare le strategie più mirate per arrivare all’eliminazione dell’epatite C? I ricercatori guidati da Loreta Kondili, responsabile scientifico di PITER presso il Centro per la Salute Globale dell’Iss, hanno studiato vari scenari arrivando alla conclusione che per raggiungere l’obiettivo finale sarà opportuno tenere alto il numero di soggetti in terapia con uno screening mirato su determinati gruppi della popolazione, andando a caccia del “sommerso”. “Trattare tutti i pazienti con infezione cronica da HCV (indipendentemente dal danno epatico) produrrà importanti guadagni, in termini di salute delle persone con questa infezione, ma anche in termini di riduzione dei costi diretti e indiretti attesi da parte del Servizio Sanitario Nazionale”, ha spiegato Mario Melazzini, direttore generale dell’Aifa. Secondo le ipotesi più positive, entro il 2028 i pazienti affetti dal virus scompariranno ma resteranno ancora coloro che non sanno di aver contratto l’epatite C. Da qui l’esigenza di uno screening mirato a determinate categorie di popolazione come tossicodipendenti e carcerati.