Torniamo a fare il punto sullo stato dell’arte del processo di riforma delle Camere di Commercio in Italia, in quanto da tale angolo di lettura si può entrare direttamente nel dibattito oggi esistente sulla riforma dello Stato e sul ruolo dei corpi intermedi. Come noto, la legge n.114 dell’11/08/2014 ha stabilito la riduzione del diritto camerale versato dalle imprese e che costituisce la base economica per lo svolgimento delle attività del sistema camerale. La legge è operativa dal 2015 e prevede una riduzione del diritto annuale a carico delle imprese del 35% nel 2015, del 40% nel 2016 e del 50% nel 2017. Tale manovra nella sostanza fa saltare l’attuale immagine operativa delle Camere di Commercio che non potranno più avere una sostenibilità economica sulla base dell’attuale organizzazione, costringendo a una riforma radicale del sistema se se ne vuole salvaguardare un ruolo e delle funzioni, tenendo conto che alcune funzioni amministrative, come la tenuta del registro imprese, permarranno di competenze delle Camere.
È di palese evidenza che l’intero sistema va riformato in quanto derive localistiche autoreferenziali hanno finito in alcuni casi per vanificare la funzione di questo ente a servizio del territorio locale, ma osservare la realtà nel suo complesso ci costringe ad alcune considerazioni. L’azione governativa rivela una fragilità innanzitutto nella lettura della situazione del mondo delle Camere non riconoscendo differenze sostanziali presenti al suo interno. Se da una parte è assolutamente condivisibile il giudizio sulle inefficienze di una parte importante di questo mondo, dall’altro non può neanche essere contestato che ci sono professionalità e capacità di governance riscontrabili nella qualità di servizi offerti all’imprenditoria locale e nella sostenibilità economica dell’ente amministrato.
Da questo tipo di lettura non potrebbe derivare la solita impostazione dei tagli lineari alla spesa e di un recupero di efficienze attraverso gli accorpamenti dimensionali che invece è stata la ratio della norma di intervento sul diritto annuale. Tale norma, infatti, non sposa alcun criterio selettivo e meritocratico rispetto a quanto sinora costruito da vari enti permanendo nel vecchio miraggio di stampo fordista che solo nella dimensione è possibile recuperare efficienza. La cultura aziendale ed economica oggi documenta ampiamente che in primo luogo è la qualità del soggetto che determina la qualità di un processo e la sua capacità di rispondere a bisogni reali. Il rischio concreto della logica del taglio lineare è quella di creare risparmi di spesa nel breve periodo e nel contempo una drastica riduzione di quantità e qualità di servizi sul territorio che vanifica l’obiettivo di salvaguardare i servizi attraverso il recupero di efficienze. I processi di aggregazione possono aver senso all’interno di una cornice in cui la governance non è decisa “politicamente” con gli attuali sistemi elettivi, ma premiando realtà che hanno documentato la capacità di poter gestire tali processi.
Da ultimo la fragilità dell’azione governativa è rappresentata dall’aver avviato un processo di sostanziale riforma del sistema, affidato alle attuali componenti della rappresentanza imprenditoriale, senza aver chiaro il ruolo che l’attuale sistema deve avere nel contesto delle politiche industriali e del lavoro. Non si forza un’azione di riforma senza sapere dove andare e come farlo.
Dopo questo approfondimento sulle politiche governative è molto interessante fare un approfondimento su come il sistema delle rappresentanze imprenditoriali stanno affrontando questo momento di transizione. Anche in questo caso la situazione è variegata, ma la sensazione è che questo processo avviato sia in larga parte subito senza che emerga una decisa capacità innovativa. Alcune Camere hanno già deliberato processi di accorpamento, molte sono ancora in fase attendista, pochissime hanno elaborato un piano strategico che ridefinisce ruoli e funzioni dell’ente, nuovi servizi richiesti dal mercato che possono generare flussi di entrate e taglio di costi, compreso l’inevitabile riduzione del personale, con l’obiettivo di preservare la sostenibilità economica dell’ente. A fronte dei processi di cambiamento che alcune singole Cciaa hanno da tempo avviato, il sistema centrale di governo delle Camere non sembra ancora in linea con le urgenze di un veloce cambiamento che la situazione richiede.
È emblematica, per esempio, al riguardo la sussistenza della logica assistenziale di un fondo perequativo che sovviene alle inefficienze e perdite di un numero consistente di Cciaa che, invece di essere decisamente responsabilizzate, in questi anni hanno goduto della “assistenza” delle altre Camere. Le inefficienze di queste Camere “assistite” sono l’espressione di un’autoreferenzialità associativa che ha perso il legame con il mondo vitale delle imprese dimenticando la propria mission. Assistiamo a una vera e propria crisi di identità di alcuni corpi intermedi, che anche in questo caso deve essere letta sapendo distinguere da situazione a situazione, da persona a persona, ma la difficoltà è sotto gli occhi di tutti. Dimenticando il proprio riferimento ideale ci si riduce a tutelare i blocchi cogestiti di interessi lobbistici di strutture, di specifiche imprese o persone creando permanenti conflitti interni ed esterni, ma riducendo la mission associativa alla tutela di interessi lobbistici non si crea efficienza e si frena sviluppo e cambiamento.
È oggi evidente che il corpo intermedio nato in un determinato periodo storico per continuare a svolgere la propria azione sociale non può prescindere da un fattore educativo che sappia tener vive le ragioni ideali di un sostegno a qualsiasi persona che intraprende. In un momento di grandi cambiamenti è peraltro ancora più urgente la presenza di una vitalità dei corpi intermedi in cui la persona possa crescere esprimendo la propria natura relazionale. Da questo punto di vista la realtà è in continuo movimento e oggi ci presenta sia nuove esperienze che emergono da reti sociali di collaborazione tra imprenditori, università, fondazioni in cui si palesa una vitalità che oggi va tutelata e valorizzata, sia alcune esperienze del tradizionale associazionismo imprenditoriale che si rinnovano e che sono aperte a collaborazioni.
Non può più sussistere un sistema delle rappresentanze datato storicamente, non aperto a quello che di nuovo nasce, che non si sottoponga costantemente alla valutazione e scelte dei rappresentati che sempre più devono diventare protagonisti. Occorrono delle riforme reali e innovative che ripropongano nuove modalità e non vecchi modelli che storicamente hanno già mostrato il loro fallimento.