«La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intender se prima non s’impara a intenderne la lingua e conoscerne i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.»
Trattando del linguaggio delle scienze è d’obbligo il riferimento a questo passo del Saggiatore, dove Galileo indica uno dei cardini del sapere scientifico. La scienza nasce nell’epoca moderna come nuovo modo di parlare della realtà, di interrogarla, di leggerla, di decifrarne i messaggi, di costruire ipotesi per dar ragione dei fenomeni, di stabilire leggi per prevederne i comportamenti: nasce quindi, a tutti gli effetti, come linguaggio.
Ma, cosa significa «intenderne la lingua»? È una domanda di grande attualità, dati i mutamenti in corso in molte discipline; ed è una questione decisiva sul versante didattico, alla quale forse non viene rivolta la dovuta attenzione. C’è un modo riduttivo di considerare le questioni linguistiche che riporta tutto alla pura padronanza di un lessico specializzato o all’abilità di dominare una serie di termini convenzionali, sganciati da ogni nesso sostanziale sia con la realtà cui si riferiscono sia con la storia che li ha tramandati. Il linguaggio invece è intimamente legato alla realtà e alla storia: ogni parola è come una finestra aperta sul reale e apprendere le parole significa imparare a leggere la realtà in modo da poterla vivere con tutta quella ricchezza di esperienza che diventa cultura. Ciò vale a pieno titolo per le scienze naturali, il cui linguaggio non è la semplice trascrizione stenografica di concetti statici ma una costruzione che cresce e si arricchisce nel tempo. Via via che l’avventura conoscitiva umana si addentra nelle profondità della natura, c’è un costante e rigoroso lavoro di adattamento degli strumenti di descrizione e spiegazione per renderli sempre più adeguati ad esprimere ciò che si scopre. Il linguaggio diventa così più articolato ma anche più potente sul piano esplicativo e certamente più carico di significati.
L’attività del fare scienza è una forma di dialogo tra l’uomo e la natura; dove non ci si limita a rimescolare i termini in gioco o a ricoprire di parole «il nulla», come in tanti talk show: è un dialogo animato dalla passione di scoprire, di trovare, dove il linguaggio si riformula continuamente alla luce di ciò che si è trovato, per poter meglio veicolare i nuovi significati emersi.
Come ci si può allora introdurre al linguaggio delle scienze?
Se di dialogo si tratta, è necessario considerare sempre i due interlocutori: la realtà e la persona. Un linguaggio specifico si apprende ricollegandolo all’esperienza umana che lo ha generato e facendo un’esperienza conoscitiva personale in quel medesimo ambito disciplinare.
Ricordando che, quando si parla di esperienza personale, si intende qualcosa di non confinabile entro schemi prefissati e che tende a dilatarsi sempre più.
Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 03 di Emmeciquadro