«Penso che sia una proposta molto positiva, perché Gilad Shalit è stato anche un po’ il simbolo di questo conflitto tra Israele e la Palestina. Un ragazzo giovane, che ha pagato cinque anni della sua vita in una condizione veramente difficile, ma riuscendo a uscirne mantenendo salda la sua dignità. Credo quindi che sia una proposta da difendere». Queste le parole di Khaled Fouad Allam, sociologo e politico algerino residente in Italia, intervistato da IlSussidiario.net riguardo alla proposta di Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma, di candidare Gilad Shalit, il soldato israeliano liberato negli scorsi giorni dopo cinque anni di prigionia, al premio Nobel per la Pace. Una proposta accolta molto favorevolmente anche dal sindaco di Roma Gianni Alemanno che, ha dichiarato, dovrà «consultare l’assemblea capitolina ma proporrò una mozione per sostenere questa candidatura. Credo che la città di Roma, se questa mia indicazione sarà seguita, sarà schierata in prima linea in questa richiesta». Pacifici ha invece fatto sapere che «la cittadinanza onoraria di Shalit è stata approvata da tutto il Consiglio comunale. Una scelta fatta da tutta la città che ci riempie di orgoglio. Abbiamo sentito ieri sera il padre che ci ha detto che il primo viaggio che farà il figlio sarà a Roma. Pensiamo che Shalit debba meritare il premio Nobel per la Pace perché un uomo che è stato prigioniero 5 anni e non un detenuto qualunque. E’ un prigioniero che ha vissuto 5 anni in un tunnel senza mai vedere la luce». Anche Alemanno ha avuto contatti con il padre di Shalit al quale «abbiamo detto che vogliamo andarli a trovare presto. Siamo quasi pronti e quando ci daranno il via partiremo con la delegazione di Roma Capitale e la comunità ebraica, perché la vicenda di Shalit è anche la nostra in quanto gli abbiamo riconosciuto la cittadinanza onoraria». Fouad Allam continua a parlare di Shalit e della proposta di assegnargli il Nobel per la Pace, affermando che, «per quanto riguarda l’integrazione, senza dubbio questo potrebbe far sì che la città di Roma si candidi a capitale della pace, e rafforzerebbe di più questa immagine che oggi è sempre più necessaria, anche pensando alle tante situazioni nel mondo sempre più turbolente e pericolose. Non c’è solo il conflitto tra Israele e Palestina, ma anche in Afghanistan c’è ovunque una situazione fragile e delicata, e questo darebbe senza dubbio una spinta propositiva in quel senso. Però, oltre a vedere Roma capitale della pace, bisognerebbe assegnare un premio, anche se non il Nobel, a chi si è distinto concretamente in questo senso».
Chiediamo a Fouad Allam cosa pensa dell’integrazione della comunità ebraica a Roma e dei rapporti con quella musulmana: «I rapporti sono buoni, e il Rabbino Di Segni era anche ad Assisi per la giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace. Ma il dialogo tra i vertici a volte non basta, perché quello che davvero va attuato è uno sviluppo di questo dialogo all’interno della società civile, attraverso nuove iniziative che per ora sono carenti. L’integrazione non è solo giuridica, ma anche culturale, e solo così due comunità si possono conoscere al meglio, ed è necessario fare un lavoro che parte dalle scuole, fino a tutto il territorio. La situazione a Roma è comunque migliore di altre che possiamo vedere in Francia dove ci sono ancora molti conflitti tra le due comunità. Credo che si debba partire dalle scuole perché si possono considerare il primo laboratorio di integrazione. Si potrebbero fare degli scambi culturali, con viaggi di ragazzi arabi in Israele e viceversa, per conoscersi meglio. Si possono fare tantissime cose, come l’iniziativa dell’orchestra diretta da Daniel Barenboim dove francesi e israeliani suonano insieme: perché non estenderla anche a Roma Capitale? Resta il fatto che tutto quello che permette lo scambio e la conoscenza è l’amicizia, senza la quale questo processo di relazione non può avvenire».
(Claudio Perlini)