Nel terzo millennio ha ancora senso realizzare un’Esposizione Universale? In un mondo cambiato dalla globalizzazione, da internet e dai nuovi strumenti di comunicazione c’è ancora la necessità di un evento che comunichi lo sviluppo economico e sociale del mondo? E quale partita dovrà giocare Milano da qui al 2015 e al termine dell’Expo stessa? «Bisognerà necessariamente voltare pagina – dice a IlSussidiario.net Antonio Intiglietta, Presidente di Ge.Fi -. Non è più il tempo degli Expo autocelebrativi, né delle parate di regime sul modello Shangai. Non a caso negli ultimi anni si sono registrati numerosi flop mentre l’Esposizione cinese appena conclusa ha voluto essenzialmente essere una “prova di forza” davanti al mondo e uno strumento di propaganda interna. A Milano il compito di chiudere un capitolo e di aprirne uno nuovo, realizzando l’Expo del terzo millennio. Un luogo di riflessione economica, sociale, culturale e tecnologica su un tema strategico: nutrire il pianeta. Una partita che Milano può giocare e vincere puntando sulla propria intelligenza e profondità».
Il dibattito intorno a questo tema si riduce spesso alla discussione sui presunti ritardi e sulla realizzazione fisica delle strutture. Serve un cambio di marcia anche nel modo di pensare e discutere di Milano Expo 2015?
Sui giornali raramente si trova uno sforzo di riflessione e di costruttività che vada al di là del pettegolezzo più deprimente e sterile. Sarebbe però più utile iniziare a mettere al centro i contenuti, lasciando sullo sfondo le liti e gli scontri che sono seguiti alla vittoria di Milano.
Detto questo, i protagonisti e i diversi soggetti economici e sociali sono al lavoro per sviluppare il tema. Basti pensare alle riunioni delle varie commissioni della Camera di commercio o ai lavori del Comitato scientifico. La vittoria di Milano ha infatti una ragione principalmente culturale.
Cosa intende dire?
Milano si candida a diventare il luogo in cui le best practices mondiali su un tema decisivo per il destino dell’umanità come quello della nutrizione vengano messe in comune. Da un lato abbiamo infatti quei paesi che necessitano di tecnologie, idee, know-how per rispondere al proprio bisogno di nutrizione, dall’altro ci sono i paesi ricchi che hanno bisogno di una rieducazione alimentare. L’opulenza, in molti casi, ha causato una degenerazione dal punto di vista sociale e umano e un uso scorretto dei beni e dei prodotti della terra, con tutte le conseguenze socio-sanitarie che questo comporta. Bisogna dire che in sede di elaborazione il contributo portato dal Prof. Giorgio Vittadini è stato essenziale. Ora è il momento di realizzare il progetto passando dal dibattito all’operatività.
In che modo?
Innanzitutto è importante la posizione umana di partenza: più che fermarsi a chiedersi cosa Expo potrà dare alla città è più interessante che ognuno, per l’esperienza che fa e per il lavoro che svolge, capisca quale contenuto e quale contributo potrà offrire.
A livello di sistema, poi, bisogna tenere presente che Milano e la Lombardia stanno facendo, proprio grazie ad Expo, un investimento essenziale per lo sviluppo economico del nostro paese, innanzitutto in termini di infrastrutture. Riguardo all’area fra poco partiranno le gare e finalmente chi vincerà potrà realizzare e portare a compimento la giusta intuizione di realizzare verso l’asse di Malpensa il polo fieristico più importante d’Italia, in pratica la nuova porta di Milano.
Secondo lei Milano dovrà coinvolgere altre grandi città italiane come Roma, Venezia, Firenze…
Non c’è dubbio che l’Expo di Milano sarà essenzialmente un Expo italiano, questo però si potrà realizzare proprio a partire dallo sviluppo dei contenuti. Un esempio? Il più grande centro di formazione e di ricerca agroalimentare italiano si trova a Bari ed è collegato a moltissimi paesi del mondo, specialmente quelli in via di sviluppo. Non a caso Milano sta coinvolgendo questa vera e propria eccellenza sull’attività di formazione dei quadri nel campo agroalimentare ed enogastronomico. Insomma, se i programmi prenderanno carne, contenuti e progettualità si potranno davvero esaltare e valorizzare tutte le eccellenze del Paese.
A quattro anni dal grande evento bisogna già iniziare a pensare a cosa resterà dopo il 2015?
Assolutamente sì. Il mondo imprenditoriale e le intelligenze milanesi sono già proiettate verso il futuro. D’altronde è nella natura di chi costruisce non attendere che l’Esposizione universale accada da sé. Dal punto di vista infrastrutturale questa però deve essere una preoccupazione pratica e non solo teorica perché la modificabilità deve permettere degli interventi futuri convenienti. Dal punto di vista invece del marketing territoriale questa è davvero un’occasione imperdibile che può dare alle eccellenze di cui parlavamo prima una visibilità eccezionale da mantenere nel tempo. Sta a tutti i soggetti coinvolti non perdere di vista l’obiettivo.
(Carlo Melato)