Alle elezioni europee del 25 maggio, forse per la prima volta, i cittadini europei saranno chiamati a votare sull’Europa e non esclusivamente in base alle eventuali ripercussioni sulla politica interna italiana. Questa tornata elettorale può quindi essere l’occasione per recuperare le ragioni del nostro stare insieme in Europa.
Ho 29 anni e la mia generazione, cresciuta dopo il crollo del muro di Berlino, quando alcuni si affrettavano a profetizzare una felice dilatazione delle democrazie occidentali di stampo liberale, si è quasi abituata a pensare che le cose sarebbero andate da sé, senza alcuna necessità di un concreto impegno in politica.
La sfida dei populismi e dei partiti anti-Europa, così come la crisi in Ucraina dove centinaia di manifestanti hanno sfidato la morte scendendo in piazza per difendere la possibilità di un futuro migliore con l’avvicinamento del loro Paese all’Europa, ci dicono invece proprio l’opposto. Anche la guerra in Siria sull’altra sponda del Mediterraneo, da cui giungono notizie agghiaccianti circa la sorte di migliaia di persone e delle minoranze cristiane, sottolinea che la pace e la libertà non sono mai conquistate una volta per tutte ma che ogni generazione è chiamata sempre a scoprirle e a difenderle di nuovo.
Ecco perché vale la pena accettare la sfida delle elezioni europee che non può ridursi, come le opinioni più diffuse suggeriscono, ad un referendum sull’euro. Occorre rendersi conto che nell’attuale mondo globalizzato l’unica soluzione per competere e offrire una prospettiva alle nuove generazioni è proprio “correre insieme” abbandonando l’illusione che il ritorno a una ristretta logica autarchica possa rilanciare la nostra economia e creare nuovi posti di lavoro. Al contrario, l’Europa può essere la grande àncora di salvezza per un’Italia che da troppo tempo ha smesso di crescere e che “vanta” la popolazione più anziana del continente. Grazie all’esperienza a stretto contatto con i cittadini nel consiglio comunale di Milano, ho potuto però osservare come l’Europa, così com’è, viene avvertita come un’istituzione lontana e tecnocratica.
Ecco perché accanto al sostegno all’Europa, forte deve anche essere l’impegno a una sua riforma in un’ottica federale, che la avvicini ai cittadini e colmi il gap democratico di cui soffre. In quest’ottica, un’iniziativa come il programma Erasmus rappresenta un’occasione di integrazione culturale attuata “dal basso” e andrebbe estesa agli studenti delle scuole superiori ed ai docenti in servizio. Il futuro dell’Europa non può che passare dalla sua capacità di investire sull’educazione con azioni comunitarie che promuovano lo sviluppo di un sistema di lifelong learning finalizzato all’incremento delle competenze di ogni singola persona.
Iniziative di questo tipo costituirebbero finalmente l’inizio di una promozione comunitaria di politiche attive per il lavoro. Se è urgente investire sull’educazione dei nostri figli non si può non sottolineare come siano sempre meno le nascite nel vecchio continente: l’emergenza demografica ha portato già nel 2005 al sorpasso degli over 65 sugli under 14. Che futuro può avere un continente in cui sarà sempre minore la quota di chi è in età da lavoro? Per questo, aldilà dei dibattiti ideologici sulle nuove forme di famiglia, è necessario rimettere al centro la natalità: l’Ue deve adottare, anche attraverso l’utilizzo del Fondo sociale europeo, una strategia di family mainstreaming, finalizzata a condividere e promuovere tra tutti i Paesi membri lo scambio di best practicies sulle politiche familiari, con particolare attenzione a misure fiscali che sostengano la natalità e l’impegno educativo dei genitori.
L’Europa, prima delle istituzioni comunitarie, è una realtà storico-culturale figlia dell’incontro tra l’umanesimo classico e il cristianesimo. Tuttavia se si vuole uscire dall’impasse in cui l’Europa sembra essere finita, anche le istituzioni politiche devono cambiare passo: l’Europa deve essere un unico soggetto politico nel mondo con una sola politica estera capace di contribuire alla risoluzione pacifica dei conflitti e alla cooperazione.
Il progetto di integrazione degli eserciti oltre che necessario a questo fine, sarebbe funzionale alla riduzione delle spese militari del paese, e libererebbe risorse da investire, ad esempio, per i 124 milioni di indigenti che si contano oggi in Europa. Queste sono solo alcune delle urgenze che il tempo ci pone, ma il lavoro comune e l’amicizia con l’ex vicepresidente del Parlamento europeo Mario Mauro e la prospettiva della costruzione della sezione italiana del Partito Popolare Europeo mi spingono ad affrontarle a viso aperto.
Per questo motivo invito tutti coloro che sono interessati a questa nuova sfida a partecipare venerdì 9 maggio alle ore 21 al teatro Sala Fontana di Milano a un incontro pubblico con me e il senatore Mauro, in cui potrò spiegare dal vivo ciò che mi muove in questo nuovo tentativo.