L’attuale crisi economica costringe al fallimento circa mille imprese italiane ogni mese. Quello da poco concluso è stato il terzo trimestre peggiore degli ultimi anni, con istanze in aumento del 9% rispetto allo stesso periodo del 2011 e addirittura maggiore del 39% rispetto al 2009. Secondo la recente analisi di Cribis D&B, società del gruppo Crif, tra luglio e settembre sono state 2.397 le imprese che hanno annunciato la chiusura, per un totale di ben 8.718 aziende che dall’inizio dell’anno hanno dovuto arrendersi alle immense difficoltà di questo periodo. E’ invece Confartigianato a rendere noto che quasi la metà delle imprese italiane (il 49,5%) getta la spugna entro i 5 anni di vita, sconfitte da un ambiente troppo spesso ostile all’iniziativa economica. «La somma di questi due dati mette in evidenza una situazione certamente preoccupante», commenta il professor Giovanni Marseguerra, docente di Economia politica all’Università Cattolica, contattato da IlSussidiario.net. «Il primo aspetto su cui ritengo sia opportuno intervenire per affrontare le difficoltà del sistema imprenditoriale italiano è la prosecuzione del processo di rafforzamento politico e istituzionale europeo: è necessario porre l’Europa al centro dell’agenda e in condizioni di tornare a competere e di recuperare quote di mercato nell’interscambio mondiale. E’ un progetto essenziale a cui aggiungerei quanto proposto recentemente da Giorgio Squinzi, secondo cui è necessario cominciare a mettere in comune alcuni elementi delle politiche europee, come quelle del welfare, del fisco e infrastrutturali».
A livello nazionale, invece, per intervenire direttamente sul tessuto produttivo in un momento di grande difficoltà, è quanto mai necessario mettere in evidenza il sostanzioso debito che la Pubblica amministrazione continua ad avere nei confronti delle imprese italiane: «Fino a poco tempo fa si parlava di circa 90 miliardi di euro, – ci spiega Marseguerra – cifra poi ritoccata da Confindustria fino a 100 miliardi. Si tratta di una somma incredibilmente alta, ma, riguardo questo aspetto, in teoria vi sono i quattro decreti varati dal governo nel maggio scorso, di cui però è difficile al momento valutare la reale efficacia. Questo perché le procedure di certificazione dei debiti sono in atto, quindi ancora non è dato sapere quanto di questi crediti verrà effettivamente trasformato in flussi finanziari per le imprese». Inoltre, sottolinea Marseguerra, «le procedure di certificazione sono molto complesse e probabilmente non potranno essere avviate nelle Regioni sottoposte ai piani di rientro dal deficit sanitario. Almeno fino al 2014, quindi, le imprese rischiano di non poter avviare in queste Regioni le procedure per la certificazione del proprio credito».
Se si vuole davvero intervenire, quindi, bisogna fare in modo che sia subito recepita la direttiva dell’Unione europea contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. «Questo dovrà avvenire entro il marzo 2013 e sembra che il governo voglia addirittura farlo entro il mese di novembre attraverso uno specifico decreto legge. Il recepimento della direttiva offre senza dubbio garanzie alle imprese riguardo il proprio futuro, ma non potrà intervenire sui mancati pagamenti passati, con la conseguenza che le imprese italiane si ritroveranno comunque ad aver ancora un credito di circa 100 miliardi di euro».
Infine, il professor Marseguerra commenta i recenti interventi del governo: «Sappiamo con certezza che la pressione fiscale sulle imprese ha ormai raggiunto un record assolutamente straordinario. In questi giorni si parla molto della riduzione di un punto percentuale delle due aliquote Irpef più basse, un provvedimento che a prima vista può far pensare a riduzione della pressione fiscale: non è così, perché come sappiamo è previsto anche un aumento dell’Iva oltre al taglio di deduzioni e detrazioni fiscali». Complessivamente, dunque, «l’insieme di questi provvedimenti non va a vantaggio delle famiglie italiane. Nel 2014, come ha fatto sapere la Cgia di Mestre, quando subiremo per tutti i 12 mesi dell’anno il rialzo dell’Iva, l’effetto combinato di questi provvedimenti sarà negativo per 2,5 miliardi di euro. Una manovra del genere, quindi, non solo non abbassa le tasse, ma produce un sostanziale peggioramento della situazione».
(Claudio Perlini)