“Solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero”. Questo versetto del salmo, che descrive l’opera di Dio nei confronti dell’uomo bisognoso, ben si addice anche alla figura di frate Ettore, che molti abitanti di Milano forse ricordano ancora, con i capelli grigi arruffati, l’abito sdrucito dei Camilliani contraddistinto dalla grande croce rossa sul petto. Personaggio pittoresco, un po’ fuori dalle righe: a molti è parso così. Eppure ha dedicato la sua vita ai più poveri e diseredati, in particolare ai barboni che affollano l’area della Stazione Centrale.
Fratel Ettore Boschini nasce nel 1928 in provincia di Mantova in una famiglia di agricoltori benestanti. Ma una grave carestia muta le condizioni economiche e la fanciullezza di Ettore trascorre in ristrettezze: deve lasciare la scuola per andare a lavorare nei campi e nelle stalle, alle dipendenze di piccoli proprietari terrieri.
Il lavoro duro gli procura violenti mal di schiena che lo tormentano per tutta la vita.
Giunto a 24 anni persegue la vocazione religiosa avvertita da tempo, entrando nell’Ordine dei Ministri degli Infermi, più conosciuti come Camilliani, fondato nel 1582 da s. Camillo de’ Lellis, per l’assistenza e la cura degli ammalati e dei feriti in guerra, soprattutto negli ospedali, che furono completamente rinnovati proprio dal suo contributo. Viene accolto nel 1952, pronuncia i voti temporanei come fratello nel 1953 e viene destinato alla Casa camilliana degli Alberoni al Lido di Venezia, dove rimane, operoso e benvoluto, per una ventina di anni.
Nei primi anni Settanta giunge a Milano, alla clinica San Pio X; qui, mentre lavora, consegue la licenza media e il diploma di infermiere professionale.
E scopre le miserie che si nascondono nella vita anonima di una grande città: incontra barboni, extracomunitari, senza tetto, persone sole e inizia ad aiutare i più bisognosi, appoggiandosi dapprima alla clinica San Camillo, poi dal 1979, con il permesso dei suoi Superiori, accogliendoli nel “rifugio” di via Sammartini, un androne sotto i ponti della Stazione Centrale, con il soffitto che trema con il passare dei treni. Lo sferragliare dei vagoni assorda gli ospiti, ma migliaia di disperati trovano calore umano nell’amore di fratel Ettore, che li considera come suoi fratelli. La convivenza, anche breve, di tante persone di diversa estrazione sociale ed età, abbruttite dalle necessità, bisognose di tutto, dal cibo ai servizi igienici, dal letto alla pulizia personale, dal vestiario alla necessità di parlare con qualcuno sfocia spesso in discussioni e intolleranze reciproche; fratel Ettore interviene paziente e umile a riportare calma e serenità, a guidare, senza imposizioni, la preghiera.
Al primo rifugio di via Sammartini si aggiungono quelli di Seveso, di Affori, di Bucchianico in provincia di Chieti, di Grottaferrata, di Bogotà in Colombia. La Provvidenza non lascia mancare, pur in mezzo alle molte incomprensioni, tanti benefattori e volontari, che affascinati dalla reale e singolare testimonianza di fratel Ettore, sostengono la sua opera.
Devotissimo di Maria, c’è ancora chi lo ricorda girare per Milano su una vecchia ‘Uno’ bianca, con sul tetto ben fissata una statua della Madonna di Fatima, alla ricerca di un fratello più sventurato e a distribuire i rosari di plastica. E altri lo rivedono in piazza del Duomo, inginocchiato per ore in preghiera durante la prima Guerra del Golfo. Ai suoi volontari insegna il difficile Vangelo della strada, quello che si vive fra i derelitti, convinto che ogni uomo, anche se povero, sporco e malvestito è uno dei figli più amati da Dio, come ama esprimersi.
Dopo aver superato infinite difficoltà e maltrattamenti ed essere diventato il simbolo di una vera e difficile solidarietà, fratel Ettore muore a Milano alla clinica San Pio X il 20 agosto 2004 a 76 anni. Sul finire di quella estate la città rimane scossa per la perdita di un testimone scomodo dell’amore di Dio; i tanti che lo conoscono e anche quelli che lo ritengono un matto sentono il vuoto lasciato da un religioso difficile da capire in tempi di diffusa indifferenza, ma che ha avuto il dono di assistere i poveri con “più cuore nelle mani”. La sua salma riposa ora nella Cappella della “Casa Betania” a Seveso.