L’incontro col bello è una di quelle esperienze elementari che attraversano tutte le età della vita: per il bambino è un’esperienza dominante, espressa con le parole e con lo sguardo pronto a spalancarsi sul mondo; per l’adulto è meno manifesta, ma può raggiungere alti gradi di intensità e consapevolezza. Nella vita dei grandi scienziati è stata una presenza costante, il movente sempre rinnovato di ogni indagine.
È difficile infatti occuparsi di scienza senza partire dall’attrattiva destata nell’impatto tra la persona e «la stupenda struttura della realtà» (Einstein): il desiderio della conoscenza scientifica è alimentato e sorretto dalla meraviglia di fronte a una natura che non finisce mai di sorprenderci.
Chi ha il compito di educare può e deve far leva su questa dimensione. Non nel senso di una spettacolarizzazione della scienza, sulla quale purtroppo sono impostate molte pubblicazioni e programmi divulgativi: questo è un modo riduttivo, che punta solo sulla reazione emotiva, a scapito della dimensione conoscitiva. Si tratta piuttosto di ridestare lo stupore originario col quale la persona si apre alla realtà, ne coglie la grandezza, la ricchezza, l’imprevedibilità e insieme la docilità nel rivelarsi a chi la investiga in modo adeguato.
Lo scienziato sa cogliere la bellezza a livelli impensabili, grazie alla capacità di descrivere i fenomeni con un linguaggio potente e penetrante. Non stupisce perciò che un matematico trovi «bella» un’equazione, che un fisico resti colpito nel vedere i dati sperimentali adagiarsi sul grafico delle previsioni teoriche, che un chimico resti affascinato dalla struttura tridimensionale di una molecola e che un biologo si sorprenda della capacità di autoorganizzazione di un vivente.
Bellezza che diventa strumento di conoscenza, criterio di scelta tra ipotesi alternative. La storia della scienza è costellata di episodi inspiegabili senza il ricorso al bello e alle sue declinazioni, come armonia, ordine, simmetria, proporzione, regolarità, equilibrio: basta citare i nomi di Keplero, Maxwell, Einstein, fino alla fisica delle particelle o ai frattali.
La portata della bellezza sul piano conoscitivo era stata percepita già dagli antichi, che non esitavano a indicare il bello come splendore del vero. Ma è ribadita in una delle ultime riflessioni di uno scienziato moderno come Konrad Lorenz, con l’aggiunta di un prezioso suggerimento pedagogico: «Se vogliamo che i giovani d’oggi non disperino della presente situazione dell’umanità, dovremo fare in modo che possano rendersi conto veramente di quanto è grande e bello il nostro mondo. Ogni persona che si rallegra alla vista della creazione vivente e della sua bellezza è vaccinata contro il dubbio che tutto ciò possa essere privo di senso».
Per scongiurare la duplice minaccia che incombe sulle nostre scuole, cioè la perdita di senso e di gusto, la strada del bello va percorsa con più decisione.
Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 07 di Emmeciquadro